Non una questione di genere, ma di esperienza: lezioni di parità in Campidoglio

Siamo stati al convegno “Parità di genere: rivoluzione possibile” in Campidoglio e queste sono state le nostre impressioni

Il convegno
Lunedì 3 aprile alle ore 18 si è svolto, presso la Sala del Carroccio, in Campidoglio, l’incontro-evento “Parità di genere: rivoluzione possibile”. A moderare l’incontro c’era Simonetta Novi, giornalista e presidente del Gruppo VIII Municipio nella Lista Civica Calenda Sindaco e tre relatrici, dalle più diverse estrazioni lavorative: Andrea Catizione, avvocata esperta di diritti delle persone, della famiglia e delle discriminazioni, Flavia De Gregorio, Presidente del Gruppo Capitolino Lista Civica Calenda Sindaco e Antonella De Maria, commercialista esperta in fiscalità e gestione aziendale nonché promotrice dell’associazione Do.N.N.E in Europa.
I dati forniti da Simonetta Novi
Il convegno è iniziato con la moderatrice Novi che ha parlato di come il gender gap sia in uno stato realmente preoccupante non solo nel mondo della politica italiana odierna (ad oggi, su 107 capoluoghi di provincia, solo 7 donne ricoprono il ruolo di sindaco) ma anche riguardo le posizioni apicali nel lavoro: tra i manager solo il 28% sono donne, mentre nella sola Assemblea Capitolina, le donne presenti sono al 39%. Dei numeri bassi, che vanno in controtendenza con un’Europa più a trazione femminile: in effetti, stando alla stima del report sul gender gap del 2022 pubblicato dal WEF (World Economic Forum), su 146 nazioni prese in esame, l’Italia si posiziona solo al 63° posto, decisamente lontana da esempi positivi come l’Islanda, la Finlandia, la Norvegia, la Germania, la Francia, la Spagna e perfino l’Uganda.

Tre relatrici a confronto
Andrea Catizone ha sottolineato, ad esempio, il fatto che le donne “siano in panchina” e invita gli uomini, che più di tutti ricoprono ruoli apicali, a farsi carico di questa tematica. Secondo Catizone è un problema di democrazia di base, mentre per De Gregorio, con un occhio più improntato verso la politica, si sta arrivando ad un miglioramento delle condizioni, anche (e soprattutto) dovuto al confronto generazionale. I giovani, a detta della presidente del Gruppo Capitolino, sembrano essere più interessati alle vicende del gender gap di quanto non faccia “l’adulto, etero, bianco, di più di cinquant’anni”. Per De Maria, con una visione invece più incentrata sull’economico-commerciale, non si tratta tanto di questione di genere, ma di esperienza. Dopo aver mostrato un video dell’ASvIS che elenca i punti dell’Agenda 2030, ci si è soffermati sul quinto punto, che si concentra sulla posizione della parità di genere secondo una visione sostenibile, sottolineando come la sostenibilità stessa non passi solo dall’ambiente, ma anche dal sociale e, pertanto, dal mondo del lavoro. Il bias (inesistente) con la donna che deve scegliere se badare più alla famiglia che al lavoro (o viceversa) porta il caso italiano ad essere un exemplum (in negativo) di quanto poco il Bel Paese spenda per le politiche del lavoro, non favorendo così l’integrazione. A differenza di quanto accade in Germania, Spagna e Francia, infatti, in Italia incentiviamo in modo molto pesante la spesa d’assunzione, dimenticandoci, però, che negli altri paesi sopracitati vi sia una netta inversione di marcia: essi hanno centri per gli impiego coperti da una spesa minore perché a funzionare sono le aziende stesse che riescono a collocare e trovare lavoro in modo meno burocratico e lento rispetto all’Italia.
Conclusioni e possibili aperture pragmatiche sul futuro
È un’Italia, pertanto, che, rispetto all’Europa, va a una differente velocità, anche per quanto riguarda le spese per l’Agenda 2030 e per il PNRR, che in alcuni punti, prevede spese sul ridurre il gender gap e favorire la parità di genere. Catizone, a conclusione dell’evento, ha affermato: “Per colmare il divario di genere e raggiungere la piena parità in ogni ambito della vita pubblica e privata saranno necessari, a livello mondiale, circa 132 anni”. Dei numeri spaventosi che, stando alla De Gregorio: “L’Italia non è un paese per donne. Addirittura la maternità continua a penalizzarle e spesso rappresenta il motivo per l’uscita definitiva dal mondo del lavoro”.
C’è da rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare, facendo scendere in campo delle azioni pragmatiche capaci veramente di garantire in concreto l’uguaglianza. Come? Si potrebbe iniziare, secondo le tre relatrici, tutte concordi in questi punti e temi, investendo in asili nido, coinvolgendo anche i padri; abbattendo così la child penalty. Servirebbe anche incentivare economicamente le madri che decidono di tornare al lavoro per infrangere il cosiddetto “soffitto di cristallo” e riuscire nell’intento di costruire una società più giusta, con una spinta sì necessaria verso la diversity, ma assolutamente non discriminatoria.