«Rivalutare le relazioni umane», riscoprendo Alex Langer con Gianni Tamino

Alex Langer è stato un giornalista, europarlamentare, docente nonché figura di spicco del movimento verde europeo, scomparso nel luglio del ’95. Alex Langer fu un concreto visionario che dedicò la sua intera vita alla costruzione di ponti. Oltre al superamento di conflitti inter-etnici, un punto centrale del suo pensiero è la conversione ecologica, un concetto ripreso anche dall’enciclica Laudato si’. Riscoprire le idee del politico altoatesino ci fornisce strumenti preziosi in un momento disorientante che ci vede chiamati a rivalutare la nostra idea di progresso. Per comprendere meglio la figura di Alex Langer abbiamo coinvolto il professor Gianni Tamino, docente di Biologia all’Università di Padova, nonché ex europarlamentare subentro al posto di Langer dopo la sua scomparsa.

Da dove si parte per comprendere la figura di Langer?
«Bisogna comprendere il contesto in cui ha vissuto. Nasce in Alto Adige da padre ebreo e madre cattolica in circostanze dove vivono tedeschi e italiani in perenne conflitto. Il suo luogo natale, poi gli studi a Firenze e il suo multilinguismo hanno creato i presupposti della sua evoluzione politica e sociale. Alex Langer ha vissuto in una continua situazione di contrapposizioni scegliendo sempre la via del ponte e del dialogo, cercando modi per disarmare il conflitto. Fin da ragazzo elabora la necessità di andare oltre i muri e creare ponti tanto da arrivare a dire che bisogna tradire le proprie origini per allacciare relazioni, ovvero essere in grado di favorire al massimo ciò che ci unisce, anche nel conflitto.»
Di cosa si occupa la fondazione istituita a suo nome?
«La fondazione – www.alexanderlanger.org – nasce dopo la sua morte dalla volontà di amici e di europarlamentari di favorire momenti di confronto coerenti con il suo modo di pensare e agire. Abbiamo finanziato numerosi premi rivolti a chi è attivo nella risoluzione dei conflitti tra gli uomini (superamento della logica di guerra) e tra uomo e ambiente.»
A che punto siamo nello sviluppo di una coscienza ecologista?
«Su scala planetaria la coscienza è limitata. Tenendo conto che ogni anno la situazione peggiora, possiamo affermare che l’attuale coscienza sia insufficiente per determinare un cambiamento. Molte associazioni dall’Italia fino alla Cina, si battono per un modo diverso di produrre merci, incoraggiando nuove modalità di consumi meno impattanti ma questo non è sufficiente. Manca una coscienza critica collettiva che produca un’azione pratica. Alex Langer in questo senso rifletteva sul concetto di sacrificio ponendo il problema generazionale. È vero che stiamo rubando il futuro ai nostri figli ma non possiamo pensare che la ricetta si riduca al mero sacrificio e all’auto-limitazione, come non basta gridare al disastro perché ci si convinca a cambiare i nostri comportamenti. Al contrario l’atteggiamento comune che ne deriva è consumo di più tanto non c’è speranza. Non basta evidenziare i disastri ambientali, bisogna rendere desiderabile la transizione da un sistema ad un altro. Gli individui non si muovono perché hanno paura del futuro ma perché vedono attraverso un cambiamento la prospettiva di stare meglio. Alex parlava della rivalutazione delle relazioni umane per scalzare il consumismo. Il denaro e gli oggetti al centro della narrazione dominante, vanno sostituiti con le buone relazioni. In una nuova narrazione il benessere passa per le buone relazioni umane, provocando come diretta conseguenza il superamento dei conflitti e la creazione di momenti di vita collettiva in opposizione ad una società che ci induce a vedere l’altro come avversario.»

Qual è il legame tra la pandemia di Covid e il cambiamento climatico?
«Questa pandemia non è un fenomeno slegato dall’inquinamento e dalla distruzione delle risorse ma ne è una diretta conseguenza. In condizioni di alterazione dell’ambiente si attivano dei meccanismi naturali di autoregolazione degli ecosistemi. È il caso della distruzione delle foreste che da una parte provoca l’estinzione degli animali che la popolano e dall’altra l’avvicinamento tra specie animali e uomini, aumentando così la probabilità di salti di specie. Le prime epidemie infatti si sono originate in corrispondenza di alterazioni dell’ambiente provocate dall’uomo attraverso l’agricoltura e gli allevamenti. I primi allevamenti di bovini hanno fatto sì che i batteri presenti nella bestia in modo equilibrato si trasferissero nell’uomo provocando le stesse malattie che si sono sviluppate negli umani nel corso degli ultimi 10 mila anni. Anche l’influenza aviaria e la suina sono collegate alle condizioni di stress in cui si trovano gli animali negli allevamenti intensivi, ambienti che non solo favoriscono lo sviluppo di microbi e batteri ma anche il già citato salto di specie. Quest’ultimo avviene per una serie di complicati motivi molecolari e consiste nel passaggio di un virus da un organismo all’altro e dunque da una situazione di equilibro ad una di squilibrio e prima che un nuovo equilibrio si stabilisca posso esserci milioni di morti, vedi i casi di peste o di spagnola.»
Sembra che quello che ci sta accadendo fosse prevedibile.
«Dopo gli episodi di SARS si è notato che i coronavirus dagli animali selvatici trovano un ambiente nuovo nell’organismo umano. Nonostante questi siano già ampiamente presenti nella nostra specie – almeno il 10% dei raffreddori è causato da virus di questo genere – non abbiamo alcuna immunità di fronte al nuovo coronavirus. Se non cessano la distruzione delle foreste, l’impoverimento della biodiversità, le relazioni conflittuali tra animali selvatici e uomo è da escludersi qualunque miglioramento. Solo considerando la pratica dell’allevamento intensivo, oggi nel mondo, calcoliamo oltre un miliardo e mezzo di bovini che come massa pesano più di 7 miliardi e mezzo di uomini. A questi dobbiamo aggiungere almeno 1 miliardo di suini, uno di ovini e caprini oltre a decine di miliardi di volatili. Se li mettiamo assieme questi hanno un impatto fortissimo sull’ambiente tenendo conto della produzione di mangimi e della distruzione delle foreste per fare spazio alla coltivazione di soia destinata agli allevamenti. Quello che dobbiamo modificare è il nostro modo di vivere ma, come sosteneva Alex Langer, superando il concetto di banale austerità e indicando un percorso verso una società più desiderabile. Il concetto di comunità, di vita basata sulla solidarietà è largamente più auspicabile del conflitto. Non è un caso che l’enciclica Laudato si’ riprenda molti temi di Langer utilizzando anche il termine di conversione ecologica e sottolineando l’importanza del rapporto d’amore tra le persone. Questo concetto è fondamentale nel pensiero di Langer a sua volta influenzato dal filosofo Ivan Illich che ci ha insegnato il concetto di convivialità.»
Non si tratta di semplice cambio di stile di vita, suona come qualcosa di più profondo.
«Quello che ci vuole è un cambio di paradigma ovvero un mutamento dei presupposti che hanno ispirato un processo sociale, politico e culturale retaggio dalla rivoluzione industriale, fondato sull’idea che l’uomo possa fare qualunque cosa su questo pianeta per conseguire l’obiettivo della crescita economica. L’uomo può fare proprie le risorse e poi scaricare nella natura ciò che resta in forma di rifiuto. Si tratta di una visione riduzionista del paradigma sviluppatosi filosoficamente tra il ‘600 e il ‘700 ed economicamente tra il ‘700 e l‘800. Questa visione oggi mostra tutti i suoi limiti richiamandoci ad un cambio di paradigma come teorizzato da Thomas Kuhn. I cambi non avvengono quando diventa evidente l’insostenibilità del paradigma precedente ma quando riusciamo a creare una coscienza collettiva che veda anche la possibilità di un miglioramento della vita attraverso il cambiamento.»