Inquinamento e Covid, non è come sembra

Il Covid sta scatenando la sua alta contagiosità, tiene in pugno la nostra normalità e la sorte dell’economia globale. Nazioni intere sbarrano i confini, sospendono i voli aerei, i cittadini ridimensionano la loro vita entro le mura domestiche. Si esce di rado e solo per acquistare il cibo o per un’emergenza, per il resto si studia e si lavora – quando e se possibile – a distanza. La diretta conseguenza deI drastico calo di spostamenti è la diminuzione dell’inquinamento che sta dando adito a tanto superficiali quanto magre consolazioni presso chi crede che tutto sommato questa pandemia, almeno sull’ecosistema, un risvolto positivo lo abbia. Tuttavia, la realtà è ben più complessa se si guarda oltre il velo delle apparenze.
I conti che non tornano
Certo, a febbraio in Cina le emissioni di Co2 nell’atmosfera erano inferiori del 25% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e sono eloquenti i dati elaborati dagli esperti del Sistema nazionale di protezione ambientale (Snpa) che parlano di una riduzione del biossido di carbonio in Pianura Padana addirittura tra il 40-50% da quando sono in vigore le restrizioni sugli spostamenti.
Ciononostante ci sono altri numeri e considerazioni riguardo lo scenario attuale e quello post-Covid che vanno controcorrente rispetto alle tendenze positive sopra citate e che sono da prendere seriamente in esame.
Nonostante le città siano deserte, le centraline Arpa da Nord a Sud specialmente a Milano, Torino, Napoli e Roma hanno registrato livelli di particolato, ozono e biossido di azoto (N02) equivalenti se non addirittura superiori a quelli calcolati durante gli orari di massima concentrazione del traffico in circostanze regolari.
Questi dati mettono in luce una verità sulla quale da lungo tempo gli esperti stanno cercando di portare l’attenzione. Le automobili, spesso oggetto di blocchi del traffico, sono solo una delle fonti che contribuiscono alle emissioni. Un’enorme fetta di responsabilità è da attribuire al riscaldamento domestico (stufe a pellets in primis) e alle industrie. Per questo non è del tutto adeguato cantare vittoria quando si legge che l’aria dell’inquinatissima Pianura Padana sta tornando “respirabile”.
Il rischio che le politiche ambientali perdano priorità
L’altra realtà sulla quale è giusto interrogarsi riguarda il come si rimetterà in moto l’economia per evitare il tracollo finanziario di proporzione globale che si profila all’orizzonte. Le misure che verranno messe in campo sono strettamente correlate al cambiamento climatico.
Una brillante analisi del Center for International Climate and Environment Research ha osservato l’andamento delle emissioni durante e dopo i maggiori shock subiti dall’economia nella storia recente. In corrispondenza delle crisi petrolifere degli anni settanta, del crollo dell’URSS fino alla crisi del 2008, alla diminuzione in un primo momento delle emissioni corrispondeva un successivo e più intenso aumento delle stesse nel medio periodo. Questo accade perché in situazioni di emergenza si è constatato come i governi siano meno propensi ad investire sulle risorse sostenibili e che dunque preferiscano stimolare la ripresa usando sistemi produttivi basati sui combustibili fossili. E se è vero che quasi due terzi degli investimenti in energia green dipendono dalla salute delle finanze pubbliche, come sostenuto dall’Agenzia internazionale dell’energia, quanto di buono stiamo guadagnando spostandoci meno, rischia di essere annullato in un lampo non appena si tornerà a regime.
È fondamentale in questa fase fissare delle chiare priorità e lo sviluppo sostenibile deve essere in cima alla lista. L’avvio di una riconversione non può più essere rimandato, l’azione deve partire dall’alto per insinuarsi capillarmente nella gestione della nostra vita quotidiana che il mondo sta dimostrando di essere pronto – anche faticosamente – a riorganizzare per il bene comune.
In gioco non c’è solo la sorte del pianeta e delle generazioni future, quella che non possiamo più barattare è la nostra salute, oggi. Ogni euro investito in economia verde va a doppio beneficio dell’ecosistema e della Sanità andando a scongiurare anche il rischio di nuove pandemie.
Lo smog ci fa ammalare anche di Covid-19
Autorevoli studi universitari e della Società italiana di medicina ambientale mettono in guardia sul potere dello smog nella diffusione dei virus. Il particolato in eccesso (PM10 e PM 2.5) non solo ne è un vettore ma “intrappola” il virus mantenendolo vitale nel tempo. Non è un caso dunque che il livello di inquinamento e il numero dei contagi siano fattori correlati. In aggiunta altri studi cinesi effettuati nel 2003 ai tempi della prima Sars, confermano l’aumento vertiginoso della mortalità (+ 84%) in corrispondenza delle aree più inquinate dove il particolato incrementa l’infiammazione delle vie respiratorie più soggette ad asma, infezioni virali e tumori polmonari.
Le conseguenze dei lockdown sul clima non sono affatto scontate, anzi possono generare illusioni a cui non bisogna aggrapparsi. È il momento di ragionare sulle strategie da mettere in atto per diminuire i trasporti su gomma nel lungo termine incentivando l’elettrico, lo spostamento delle merci su ferro, diminuendo l’uso dell’auto (abbiamo scoperto che si può lavorare anche da casa!), smantellare gli allevamenti intensivi e tagliare l’uso di combustibili inquinanti. Questa epidemia che ci ha colti impreparati potrebbe creare la spaccatura che apre la strada ad un cambiamento radicale, starà a noi cogliere l’opportunità.