Governo, la crisi della responsabilità politica

Fin dalle sue battute iniziali, questa crisi agostana si è rivelata uno spettacolo ai limiti della decenza, contrassegnato da toni non conformi a chi è stato chiamato a rappresentare lo Stato.
Anche le circostanze dove si è ufficializzata la spaccatura giallo-verde (vedi Papeete beach et varie) sono più vicine alla sagra paesana che a quel discreto, rispettoso seppur acceso dibattito al quale ci si aspetta di assistere tra i due contraenti di un patto politico.
Quella che abbiamo osservato nel mese di agosto è stata una rottura unilaterale avviata dal ministro Salvini che in pieno delirio di onnipotenza, galvanizzato dalle folle e da sondaggi più che incoraggianti, ha deciso (uno per tutti) che era ora di tornare alle urne per monetizzare il suo consenso. Quale spavalderia nell’arrogarsi il diritto di prendere una decisione con una ricaduta così pesante sull’intero governo, scavalcandone il capo stesso. Una leggerezza che rivela poco rispetto per le istituzioni e per i binari ben tracciati dalla Costituzione.
I numeri sono senz’altro degli indicatori, ma se ad ogni cambio del vento si tornasse alle elezioni, ci troveremmo a vivere in un paese ingovernabile. Proprio per scongiurare questo pericolo, anche in periodi di forte turbolenza, sotto la supervisione del Capo dello Stato, è possibile formare un’altra maggioranza in parlamento che, come è naturale avvenga in un sistema proporzionale, si comporrà dall’unione di due o più forze politiche. Condizione necessaria a meno che, circostanza improbabile nel perimetro dell’attuale sistema, una sola forza raggiunga il 50 percento più uno dei consensi.
Ed ecco la rivincita sull’avventatezza di un rodato sistema democratico, spesso dato per scontato da chi si è abituato al benessere, da chi non sa più misurare la propria libertà. Il sistema ha reagito temperando pericolose brame di (stra)potere trasformando la mossa di Salvini in un suicidio politico, che ricorda il famoso adagio: chi troppo vuole, nulla stringe.
Da questa prima grande manifestazione di irresponsabilità leghista, ciò che è venuto dopo, e quello a cui si sta assistendo in questi giorni, non è che il volto della stessa malattia.
La trattativa dietro un Conte-bis tra M5s e Partito Democratico più che all’insegna del buon senso, a cui richiamerebbero le delicate circostanze, si sta svolgendo ancora una volta con troppa spavalderia tra attori che prima del paese pongono se stessi.
Di Maio abbraccia la dura linea Di Battista e alza la posta in gioco per il PD che a forza di passi indietro e di rospi ingoiati (vedi il nome di Conte e il taglio dei parlamentari) sta per fare indigestione e, peggio ancora, per oltrepassare il confine verso il totale tradimento di sé stesso. Un colpo duro per un partito fragile al suo interno, che sta con fatica tentando di ricomporsi.
La durezza dei recenti discorsi del capo politico pentastellato, i riferimenti mal digeriti dal PD sul decreto sicurezza bis, tendono pericolosamente la sottile corda che lo lega alla possibilità di rimanere al potere. Se l’intenzione del Movimento fosse quella di proporre un governo a guida Conte con un Partito Democratico tenuto al guinzaglio, saremmo di fronte ad un’arroganza spiegabile solo in due modi. Il primo è la scarsa considerazione di eventuali nuovi esiti elettorali che potrebbero relegare in un angolo i grillini; il secondo è la necessità di non ammorbidirsi troppo per preservare la faccia in vista del voto sulla piattaforma Rousseau. La decisione di interpellarla a negoziati aperti rimane discutibile. Se dare valenza consultiva al voto, nel perimetro di una dinamica interna al Movimento, è insindacabile, diversamente lo è quando questo voto, svolto di fatto al di fuori delle istituzioni, va ad influenzare un processo già in essere che si sta svolgendo entro i binari della politica tradizionale.
L’esperimento della democrazia diretta, e la crisi del bipolarismo, si aggiunge dunque al cocktail micidiale di questa crisi, una miscela che potrebbe causare una sbornia di quelle pesanti. E mentre Lega e FdI fomentano il web e le piazze, già sature di malcontento ed intolleranza, l’unica, seppur malandata, barriera contro l’ascesa di una destra regressiva, rischia di crollare del tutto. Nel frattempo il paese rimane in attesa, immobile, ostaggio dello scarso senso di responsabilità di chi è stato chiamato a governare.