Il sessismo dietro le parolacce secondo Mario Cottarelli

Mario Cottarelli (il fratello di Carlo, l’economista) è l’autore del libro Parliamo di parolacce senza dire parolacce, una ferma e argomentata condanna al turpiloquio sorprendentemente priva di finto perbenismo.
Mario Cottarelli ha vissuto la sua adolescenza negli anni Sessanta, quando, dal ’68, le parolacce sono diventate una presenza normale nel nostro linguaggio, senza che il musicista e compositore cremonese riuscisse a trovare una motivazione valida alla loro così ampia diffusione. Da lì è arrivata la voglia di andare alla radice del fenomeno, per contrastare l’inquinamento della lingua e la distorsione nella visione del mondo che inconsapevolmente, come spiega nel suo libro, ne deriva. E dunque, perché, di preciso, è meglio non dire le parolacce? Lo abbiamo chiesto all’autore.
“Più che non dirle, bisognerebbe abolirle! Le parolacce in quanto tali, contengo dentro di sé un errore che è quello di rendere brutte alcune cose molto belle della vita che, al contrario, si meriterebbero parole altrettanto belle e armoniose. Mare, tramonto, arcobaleno, sono parole melodiche. Questo non vale per le parolacce che hanno un suono aggressivo, in particolare quando si riferiscono al sesso”.
Andando un po’ indietro nel tempo – ci spiega Mario Cottarelli – le parolacce a sfondo sessuale erano già in uso al tempo dei Romani e poi nel Medioevo. Per i primi, nonostante molte parole oscene appartenessero alla quotidianità nel parlato, queste erano considerate un tabù tanto che nei testi antichi le loro tracce sono pressoché nulle. Per fare riferimento agli organi genitali maschili e femminili le parole usate erano soavi come mentula e cunnus. “Il sesso è una cosa bellissima della vita, perché dovremmo riferirci ad esso usando delle parole brutte? Nel libro del Kamasutra ci si riferisce al pene e alla vagine usando espressioni quasi poetiche come stelo di giada e porta di giada. Le parolacce utilizzate in riferimento al sesso sono l’espressione di una visione negativa della sessualità frutto di una repressione sessuale”.
Se dietro all’uso di espressioni scurrili c’è un istinto represso, la donna è la prima vittima della violenza e della rabbia inespressa che si sfoga con le parole. Come ci fa notare Cottarelli, non accade di rado, di sentire delle persone riferirsi ad una donna usando il termine indicante il suo organo riproduttore. “Si tratta di una sineddoche che offende due volte la donna. Non solo perché la si identifica con il suo stesso organo genitale, ma anche perché l’organo in sé viene definito in maniera negativa”. Complici nella propagazione del sessismo linguistico sono proprio le donne. “Questo modo di esprimersi è diventato talmente normale che non solo le donne non si ribellano più all’uso di certe espressioni ma solo loro stesse ad utilizzarle”.
Considerando che, complici i mass media e i social, parole oscene a sfondo sessuale sono più che sdoganate in molti contesti, l’invito di Cottarelli a non cedere al turpiloquio può risultare senz’altro controcorrente. Anche chi dovrebbe rappresentare le istituzioni ha una buona fetta di responsabilità. Tra i politici che fanno largo uso di parolacce (seppure lui sia un politico atipico) viene in mente Beppe Grillo i cui comizi non sono che “uno squallido spettacolo” secondo l’autore cremonese.
Se dunque, convinti da Cottarelli, avete deciso di farle uscire dal nostro vocabolario, il consiglio è di eliminare le parolacce dette a freddo. Per esempio, per dire che non c’è nulla sul tavolo, sarebbe bene evitare di sostituire la parola nulla con quella comune parolaccia che inizia con la c. “Usarla – spiega Cottarelli – denota tra l’altro una cattiva concezione dell’organo genitale maschile”.
Un altro aspetto importante del discorso sulle parolacce, riguarda la fetta di popolazione che forse ne fa più largo uso, i giovani.“Devono rendersi conto che dire le parolacce non è il frutto di una loro libera scelta, bensì di un’imposizione. Pur di farsi accettare dal gruppo, ci si adegua a quella che è diventata una convenzione. Invitarli a non dirle può essere una propaganda impopolare, per questo bisogna partire dagli adulti. Ci si deve fare un esame di coscienza e non pretendere dagli altri quello che noi stessi per primi non riusciamo a mettere in pratica. Abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale”.