Pesce africano e asiatico: storie di degrado umano e ambientale

Apprezzati per le loro carni dal sapore neutro e per il loro basso costo, alcune specie di pesci asiatici e africani sono entrate negli ultimi decenni nel carrello degli italiani sotto forma di filetti confezionati (spesso congelati), preziosi alleati di una vita frenetica dove il tempo da dedicare alla preparazione del cibo è molto poco. Tra i pesci low cost più comuni nei nostri supermercati ci sono il pangasio, la tilapia e il persico del Nilo. Questi pesci, se da un lato possono sembrare vantaggiosi per il loro prezzo, non lo sono affatto per la salute umana e per l’ambiente.
Il persico africano
Precisiamo, il persico del Nilo, o persico africano, non è da confondere con il pregiato persico reale, pesce d’acqua dolce europeo decisamente più costoso. Dietro gli invitanti filetti rosei di quello africano, c’è una condizione di serio degrado ambientale che ha compromesso l’ecosistema del lago Vittoria dove viene pescato. Il lago Vittoria (o Nyanza) è il più grande bacino lacustre dell’Africa, si divide tra Tanzania, Uganda e Kenya, attorno alle sue sponde vivono almeno 40 milioni di persone. Il persico, specie altamente invasiva è stata introdotta artificialmente negli anni Sessanta con effetti disastrosi sulla biodiversità del lago. Questo pesce carnivoro si nutre infatti di altri pesci e molluschi, per questo diverse specie autoctone, molte delle quali si sono già estinte, stanno rischiano di scomparire per sempre.
Se all’inizio la pesca era artigianale e destinata al consumo e al commercio locale, nel giro di pochi anni dalla sua introduzione nel Nyanza, il persico africano è diventato oggetto di sovrapesca per soddisfare la crescente domanda del mercato europeo e asiatico. Secondo la rivista Eurofishmarket, le importazioni in Italia di questo bestione – arriva a pesare fino a 200kg – dal 1997 sono cresciute in modo esponenziale. E mentre il lago si impoverisce, ad arricchirsi attorno a questo business inarrestabile ci sono le multinazionali della lavorazione del pesce. Al contrario sono pochi i vantaggi per i pescatori locali che vivono e lavorano in condizioni di degrado.
Anche per il persico del Nilo vale la regola basso costo, bassa qualità. Ripercorrendo la filiera del pesce, Eurofishmarket ha scoperto che dal momento della cattura fino alla sua comparsa sui banchi dei nostri supermercati passano 12 giorni. Non certo quella che si chiamerebbe garanzia di freschezza e salubrità di un animale che brulica in acque inquinate dagli scarichi delle industrie che si trovano in prossimità del bacino.
Riguardo l’inquinamento e lo sfruttamento del lago Vittoria si è espressa l’Unione internazionale per la conservazione della natura(IUCN). In uno studio del 2018, la ONG ha confermato la minaccia che l’invasione del persico rappresenta per pesci e molluschi autoctoni il cui rischio di estinzione è ancora più alto tenendo in considerazione il cambiamento climatico in atto e l’inquinamento delle acque. Il lago inoltre viene trattato letteralmente come un’enorme fogna. Gli unici tentativi di installare dei bagni lungo le sponde si sono rivelati fallimentari, e le persone continuano ad inquinarlo con le proprie deiezioni.
Oltre al piscivoro persico, l’altro ospite invasivo comparso nel lago è il giacinto d’acqua. Si tratta di una pianta infestante che trova nutrimento nelle acque putride. Secondo la Lake Victoria Basin Commission (LVBC), questa pianta galleggiante sta mettendo in ginocchio molti pescatori della sponda keniota del lago, compromettendo ulteriormente le condizioni precarie in cui si vive nelle sovraffollate aree di pesca.
Lo sfruttamento del lago Victoria sembra non dare segni di diminuzione nonostante i suoi problemi siano noti da decenni. Nel 2004 il registra austriaco Hubert Sauper raccontò con il suo documentario L’incubo di Darwin i lati oscuri del commercio di persico africano, legato non solo a povertà, sfruttamento e inquinamento ma anche al traffico di armi.
Il commercio della vescica di pesce
Se il persico del Nilo è molto richiesto in Italia, ad aver fatto decollare ulteriormente la sua domanda è l’appetito che in tempi recenti ha dimostrato il mercato asiatico attirato da una precisa parte del pesce che viene venduta a peso d’oro. Si tratta di una membrana interna tipica di molti pesci ossei che fino a qualche anno fa veniva scartata o al massimo mangiata fritta dai pescatori locali. Questa membrana si chiama vescica natatoria, assomiglia ad un palloncino, ed è apprezzata dai cinesi che una volta essiccata la consumano per le sue proprietà afrodisiache.
Come riportato dal periodico britannico The Observer, la grande richiesta di questo prodotto che arriva dalla Cina ha dato il via ad un lucroso business per i commercianti che acquistano a poco prezzo dai pescatori quello che è stato definito come water gold di cui l’Uganda è il primo esportatore.
La tilapia
Se la Cina è il primo importatore di vesciche di persico, il primato lo detiene anche come maggiore produttore di un altro tra i più comuni pesci low cost: la tilapia. La sua carne dal sapore neutro, la velocità di crescita e il suo basso costo di produzione, lo ha reso il pesce più consumato al mondo e particolarmente apprezzato negli Stati Uniti. Le sue proprietà nutritive sono molto scarse, non solo è povero di omega 3, ma la sua enorme richiesta viene soddisfatta solo attraverso un’acquacoltura intensiva fortemente inquinante e praticata in scarse conduzioni igieniche. Secondo una ricerca americana, questi pesci vengono nutriti anche con scarti di pollame e altri tipi di bestiame per abbattere i costi dei mangimi. In Italia questo pesce è molto richiesto e non di rado alcuni ristoratori furbetti lo aggiungono alle fritture spacciandolo per specie più pregiate.
Il pangasio
Il pangasio è un pesce la cui povertà dal punto di vista nutritivo è il minore dei problemi considerando le condizioni dove viene allevato. Il pangasio arriva dal Mekong, il fiume più importante in Indocina, divenuto negli anni una discarica per le industrie che sorgono lungo le sue sponde. L’undicesimo fiume più lungo del mondo è considerato tra i più inquinati del pianeta. Delle sue acque infatti è nota l’alta concentrazione di pesticidi e metalli pesanti quali arsenico e mercurio che vanno a finire nei filetti surgelati che rientrano anche nel menù delle mense scolastiche. Negli ultimi anni tuttavia, questo pesce, complici alcune analisi di laboratorio poco rassicuranti, si è creato una brutta reputazione che ha indotto alcune catene di grande distribuzione a non venderlo più.
Il consumo consapevole e il pesce povero contro la sovrapesca
Per chiarezza è giusto precisare che il pesce low cost che arriva da Asia e Africa, non è da confondere con il pesce povero del Mediterraneo, chiamato così perché meno costoso in quanto meno richiesto rispetto ai più comuni tonno, orata, branzino e salmone. Questi pesci (costardelle, spatole, alici, occhiate, sugarelli, zerri, sgombri, tombarelli) non fanno bene solo al portafoglio ma anche al mare perché a più basso impatto ambientale. Diversificare alleggerisce dallo sfruttamento eccessivo delle specie ittiche che sta svuotando i nostri mari per soddisfare consumi che aumenteranno in proporzione alla crescita della popolazione mondiale. Il problema riguarda noi italiani da vicino: secondo un sondaggio condotto da Oceana – un’organizzazione internazionale per la difesa del mare – 9 italiani su 10 ignorano l’esistenza del problema sovrapesca, cosa grave, considerando che il consumo di pesce in Italia è tra i più alti in Europa.
Per concludere, come vale per la carne, anche nel caso del pesce, maggiore consapevolezza, minor consumo e miglior selezione sembra essere la ricetta per un’industria alimentare più sostenibile e pronta ad affrontare un crescente aumento della popolazione.