Alla radio una canzone italiana su tre, considerazioni sulla proposta leghista

Cavalcando l’onda emozionale del Festival di Sanremo la politica ha dimostrato un (improvviso) rinnovato interesse per le sorti della musica italiana riconoscendola come un mezzo importante per la diffusione della nostra cultura. Ed ecco che Alessandro Morelli, presidente della commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera – ed ex direttore di Radio Padania – ha presentato nei giorni scorsi una proposta di legge che renderebbe obbligatoria una quota fissa di musica italiana nella programmazione giornaliera delle radio nazionali. La fetta di cui si parla nella proposta equivale ad almeno un terzo dei brani con passaggi distribuiti equamente nelle 24 ore. L’esempio di riferimento viene dai vicini d’Oltralpe dove dal 1994 per la legge Toubon il 40% della musica trasmessa dalle emittenti nazionali deve essere francese.
La destinazione di una quota fissa nelle radio alle produzioni Made in Italy non è tuttavia cosa nuova nel nostro paese. Già in passato la Federazione Industria Musicale Italiana aveva chiesto una fetta del 20% della programmazione radiofonica, e nel 2017 l’allora ministro dei Beni culturali Franceschini aveva dimostrato interesse a discutere l’argomento; ciononostante la questione è rimasta in sospeso fino ai giorni dopo Sanremo.
Il sostegno alla proposta della Lega non si è fatto attendere troppo dalla Siae. Il presidente Giulio Rapetti, in arte Mogol, ha scritto una lettera a tutti gli associati per invitarli a sostenere l’iniziativa in quanto di musica italiana le radio non ne passano abbastanza. “Su dieci stazioni radiofoniche – scrive il presidente della Siae – soltanto quattro rispetterebbero la soglia del 33% della proposta di legge dell’onorevole Morelli”. Se questo dice Mogol, dando un’occhiata ad atre fonti non siamo messi così male; stando ai dati EarOne, nel 2018 le radio nazionali hanno trasmesso per il 45% brani in lingua italiana con un picco del 53% nel mese di giugno.
Al di là dei dati, a smorzare un po’ l’entusiasmo dei colleghi c’è stato lo stesso leader del Carroccio Matteo Salvini che ospite a Rtl 102.5 ha dichiarato: “Il progetto c’è ed è richiesto da tanti artisti italiani, ma non sarà il Parlamento a decidere che musica va in onda sulla radio. Ogni radio si fa i suoi palinsesti e ognuno ascolta la musica che crede”.
Dal mondo della musica si è fatto sentire Francesco de Gregori non proprio favorevole alla proposta: “Mi sembra una stronzata, non so cosa sarebbe stata la mia vita da musicista – ha detto il cantautore – se non avessi potuto ascoltare fin da piccolo tutte le canzoni straniere che ho sentito”.
La domanda che sorge a questo punto è: siamo sicuri che quello delle quote di musica italiana nelle radio sia il dibattito di cui abbiamo bisogno ora? E soprattutto, se la volontà ultima è quella di sostenere la cultura musicale italiana, che cosa si sta facendo sul fronte educativo? “Con il ministro Bussetti stiamo lavorando con particolare attenzione all’educazione musicale, stiamo rifacendo il regolamento sugli AFAM (Istituzioni dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica) e stiamo assumendo altri 400 insegnanti per rendere possibile la seconda ora di musica nei licei musicali all’interno della proposta”. Queste le parole dell’onorevole Ketty Fogliani, membro della Commissione Cultura e Istruzione alla Camera, e tra le firmatarie della proposta di legge di Morelli. “Siamo soddisfatti di questa iniziativa coerente con il nostro slogan prima gli italiani, in qualsiasi ambito. Volevamo dare un segnale importante considerando che negli ultimi 10 anni è calata la trasmissione radiofonica di brani italiani dal 35% a picchi in basso del 10%” – conclude Fogliani.
Un altro punto importante da non trascurare riguardo questa proposta è la fettina del 10% che di questo terzo tutto tricolore andrebbe riservata alle produzioni degli artisti emergenti, uno spiraglio di luce per giovani musicisti ma che ha bisogno di qualche dettaglio in più per risultare convincente. Ad esempio, in questa tortina, quanto spazio c’è per la musica indipendente?
Se alcuni punti rimangono un po’ troppo vaghi, i potenziali benefici per chi lavora nell’industria culturale italiana sembrano molteplici. “La proposta – afferma Mogol – avrebbe un impatto positivo sul mercato radiofonico italiano generando maggiori introiti in diritti d’autore e in diritti connessi e contribuendo ad aumentare la quantità di musica prodotta in Italia”.
In conclusione, dopo aver analizzato contenuti e potenziali benefici di questa proposta leghista, a lasciare perplessi è la “forma” in cui è stata presentata. La stessa firmataria Ketty Fogliani l’ha ricondotta allo slogan prima gli italiani. Mettiamo che tutto sommato la bilancia penda a favore dei pro, dispiace vedere una proposta positiva viziata dalla puzza di slogan e di sovranismo, come se non ce ne fosse già abbastanza. Perché, per quanto nobile sia l’intenzione dietro all’iniziativa, usare la musica per contribuire ad una cultura del prima gli italiani con uno strumento, la musica, che al contrario ha sempre unito le persone piuttosto che inspessire muri culturali?