Paratissima 2020 – Art Station. Lo specchio di una società in frantumi
L’arte è il riflesso dell’uomo, ne descrive le paure e le speranze, riproduce con opere i pensieri di un’intera generazione. Il 2020 è stato (ed è ancora) un anno di attese e di angosce, un periodo storico in cui è cambiato il modus vivendi della quasi totale popolazione mondiale. Oggi il trauma del coronavirus trova spazio anche nell’arte contemporanea, in cui si mescolano forza e debolezza, alla ricerca di un appiglio cui aggrapparsi.
Lasciando inalterata la mission di sostegno all’arte emergente, Paratissima torna a Torino anche quest’anno, ma cambiando veste, per adattarsi ai tempi e per rispettare le normative vigenti. Articolata in quattro appuntamenti, la mostra ha preso avvio il 23 ottobre e si protrarrà fino all’8 dicembre 2020, offrendo al pubblico contenuti di volta in volta diversificati e garantendo un evento sicuro presso l’ex Accademia Artiglieria di Torino.
Partito alla volta dell’arte, il treno di Paratissima ha già raggiunto la sua prima fermata: Nice & Fair – Contemporary visions. Cinque mostre collettive visibili fino al 1° novembre, più di ottanta artisti coinvolti, il tutto curato da undici allievi del corso per curatori N.I.C.E. – New Independent Curatorial Experience. Le opere esposte affrontano il tema della fragilità ambientale, sociale e umana del nostro tempo, la ricerca di un rifugio dal caos che sta intorno, un viaggio nel grembo materno per approdare a un porto sicuro dopo l’ansia della quarantena, superando lo spazio fisico e tendendo a creare nuovi siti in cui combattere il distanziamento sociale.
La casa come rifugio e come luogo da cui evadere
Le mura domestiche sono spesso sinonimo di famiglia e di sicurezza, ma non sempre è così. Rabbia e incomprensione, prigione che blocca la libera espressione personale, difficoltà di comunicare: queste sono solo alcune delle problematiche che rendono la casa un luogo ostile da cui evadere. Annalisa Limonta descrive in Silenzio il trauma della violenza. Un assordante silenzio lacera la quiete, l’ambiente domestico è talmente stretto da portare alla perdita di controllo delle proprie azioni, frantumando la serenità. Un tavolo, due sedie e due scenari antitetici: da un lato, un composto coperto che indica il porto sicuro; dall’altro un piatto in mille pezzi, le posate per terra e lo “sporco” del colore.
Il confine tra l’interno e l’esterno dell’abitazione è espresso anche da Re nella sua Né in cielo né in terra. Qui una finestra fa da ponte tra la sicurezza delle mura domestiche e l’incertezza del mondo al di fuori, è la siepe che blocca lo sguardo verso l’infinito ma che al tempo stesso dà conforto e riparo.
Il grido interiore e l’incapacità di comunicare
L’uomo è una monade a sé, un organismo complesso che non riesce a comunicare con l’esterno e che è incapace anche di comprendere a pieno sé stesso. Folla di solitudini di Tiziana Contu allude proprio a questo, all’impossibilità di connettersi con l’altro, sebbene a un passo da lui. La ricerca di una relazione interpersonale è bloccata dalla frenesia del quotidiano che ci rende automi non aperti al dialogo. Il trauma dell’isolamento ha acuito la sensazione di abbandono dell’uomo, peggiorata dal distanziamento sociale forzato.
Chiusa in sé stessa, l’umanità non impara a conoscersi e a convivere con il proprio io. Il mio doppio chiede AIUTO di Giu.ngo-lab è il riconoscimento di un dissidio interiore intramontabile, che sdoppia l’uomo in un continuo alternarsi pirandelliano di realtà e apparenza. Il dualismo è racchiuso in cinque barattoli di vetro colmi di acqua, in cui una donna implora aiuto. L’opera è il riconoscimento palese del proprio doppio ben nascosto, il grido non riceve ascolto e germoglia nell’acqua, ovattato dal recipiente che lo contiene.
Infine, la ricerca del proprio io è al centro anche delle opere di Laura Pagliai. Una serie di personaggi nati dall’argilla tiene in mano un palloncino rosso, che rappresenta la leggerezza dell’animo in contrapposizione alla difficoltà della vita reale post quarantena. La bilancia dell’isolamento ha visto il continuo alternarsi di ottimismo e pessimismo, scalfendo le sicurezze e lasciando il posto all’incertezza. L’arte è l’espressione dell’io, che oggi è lacerato e fragile, ma al tempo stesso non cede alla disperazione e si appiglia al palloncino rosso della speranza.