Collage e assemblaggi: una nuova vita per gli scarti urbani

L’arte, oggi come non mai, ma anche sulla scia di alcuni – non troppo lontani – movimenti artistici, si sta mostrando sempre più sostenibile ed eco friendly. L’urgenza di porre rimedio all’attuale situazione d’emergenza dovuto al grande quantitativo di plastica che consumiamo, ha portato molti di noi a sensibilizzarci in questo senso e l’arte, e con sé molti artisti, ha pensato bene di dire la sua.
Oggi vi raccontiamo di un artista la cui missione è quella del “riscatto dello scarto”: si chiama Antonio Agresti, in arte Agre. Antonio nasce a Formia, in provincia di Latina, ma cresce a Napoli dove si laurea in architettura e dove, per alcuni anni, esercita la professione. Oggi vive e lavora a Roma dove si dedica perlopiù all’attività artistica, sua vera e profonda passione. Nel 2004 si avvicina all’arte del collage ed è allora che la sua ricerca artistica prosegue su questo binario, utilizzando prevalentemente la carta di giornale. Qualche anno dopo, i manifesti murali diventano il suo principale elemento artistico e nel 2013 si esibisce nella sua prima mostra.
Il riscatto dello scarto
Antonio Agresti ha vissuto e vive tuttora in grandi città caotiche e movimentate; la natura urbana di Napoli e Roma, fatta di una giungla di edifici e strade, si fonde e dialoga con le insegne ed i manifesti. Cemento e mattoni ospitano carta, colla e segni. L’artista si mostra profondamente affascinato da ciò che inizialmente nasce per comunicare qualcosa, un messaggio, e che poi viene col tempo scartato, dimenticato, rifiutato e rovinato. Agre ama passeggiare per strada, nel centro di Roma, e raccogliere un brandello stracciato di una locandina con ancora qualche traccia di colla e campiture di colore; ed è proprio in quel gesto semplice che si rivela l’artista. Il suo percorso artistico inizia e si fonda sul materiale corroso dal tempo, consumato e svuotato di senso dallo sguardo indifferente dei passanti, riuscendo però a conferirgli un nuovo significato.

Agre ricerca nella forma e nella natura degli strappi le matrici di composizioni nuove, che dalla superficie del supporto vanno verso un immaginario di nuove forme, colori e segni. L’artista interpreta le chiazze di colore come vere e proprie pennellate, utilizza lettere e fonts, accosta materiali tra loro lontani, rendendo le proprie composizioni tanto concrete quanto astratte. Ciò che ci restituisce è un’opera d’arte che reca ancora le “tracce” del codice originario, ora trasformate in “tracciati” con nuovi significati. I frammenti di codici e i brandelli di materiali affiorano da una stratificazione che ha il sapore di archeologia metropolitana, ma che va oltre la mera conservazione, Agre ridà infatti a questi materiale una nuova vita per bloccarne il degrado, per creare una poetica intrisa di nuovo. “Cicatrici”, “S_Carti” e “S_Tracciati” sono i titoli di alcune mostre di Antonio Agresti. Questi titoli indicano gli elementi poetici che contraddistinguono il percorso dell’artista, ma sembrano suggerire anche altro: l’esperienza e la sofferenza (in quanto uno strappo non è mai indolore) della vita che nel farsi e consumarsi si arricchisce, scoprendo nuovo senso e valore.
Alberto Burri e Mimmo Rotella si fondono nelle opere di Agre
Le origini del suo lavoro artistico prendono spunto dalle opere di Mimmo Rotella e Alberto Burri, l’uno personalità di spicco della Pop Art, l’altro esponente dell’Informale. Ma è l’intero mondo delle arti figurative ed il suo passato da architetto ad arricchire la sua ricerca artistica sempre di nuovi stimoli. Agre parte dalla consapevolezza che i manifesti murali, indiscussi protagonisti del nostro paesaggio urbano quotidiano, diventano dopo poco tempo obsoleti; sottostanno all’usura del tempo e alle esigenze pubblicitarie che vanno quindi a sovrapporli ai precedenti, diventando “scarto”. L’artista, invece, compie un procedimento all’inverso, rendendo la carta stampata protagonista dei suoi collage, che Agre arricchisce con colori, segni, scritte ed immagini piene di una storia che la carta racconta silenziosamente. L’artista si nutre di questi frammenti di comunicazione e li metabolizza componendoli in modo inedito e con rinnovata dignità d’esistere. Ed è per questo che troviamo anche degli strappi che stanno lì ad evocare ferite e cicatrici che ognuno di noi possiede.

L’artista sperimenta questa tecnica su diversi supporti, tra i quali cartoncino, tela e legno, ed ognuno ha un suo significato. II cartoncino bianco è l’esperienza elementare, quella che ognuno di noi sperimenta da bambino colorando sui fogli bianchi A4, il piano bidimensionale per eccellenza. E quindi il supporto di carta è lo stesso materiale utilizzato per il collage: carta su carta. La tela ha una maggiore tenuta alle deformazioni della colla; è il supporto proprio dell’artista per antonomasia. Il collage acquisisce qui maggiore spessore ed una nuova “dimensione in rilievo”. Il legno è il più recente e nasce dall’idea di scegliere un elemento di recupero non solo nella tecnica, ma anche nel supporto. Viene quindi rappresentato un doppio “scarto”: strappi di manifesti murali ed avanzi di falegnameria. La “fragilità” della carta si accoppia con la massa e col peso del legno. Le tavolette si compongono e si sovrappongono, facendo sì che il supporto tenda al volume.
Dietro questo pensiero artistico c’è sicuramente la riflessione di un architetto, che vede i diversi supporti utilizzati, non come elementi decorativi, bensì come assoluti protagonisti che definiscono gli spazi in cui si collocano.