Sophia primo robot con cittadinanza: trovata mediatica o prossimo futuro?

Nei giorni scorsi una notizia curiosa è balzata agli onori della stampa: per la prima volta nella storia un robot ha ottenuto la cittadinanza. Il robot in questione si chiama Sophia, è un androide avanzato, che può dialogare utilizzando anche espressioni facciali e una certa dose di ironia.
Sembrerebbe un evento storico, e proprio questa era la volontà degli organizzatori del Future Investment Initiative, un summit su economia e innovazione, durante il quale è stata diffusa la notizia. La cittadinanza che le è stata conferita è però in Arabia Saudita, una monarchia assoluta priva di parlamento. Così un titolo giornalistico, dove si dice che un robot ha acquisito la cittadinanza, ci fa pensare ai diritti e doveri che in una moderna democrazia comporta, ma che non esistono in quel Paese.
È stata dunque un’operazione sensazionalistica (del tutto legittima) per attirare sul Paese arabo l’attenzione dei media di tutto il mondo e di possibili investitori in Intelligenza Artificiale. L’operazione si inquadra in tutta una rete di investimenti strategici nel settore della tecnologia e di riforme, su cui punta molto il nuovo e giovane principe ereditario Mohammad bin Salman Al Sa’ud, per modernizzare l’Arabia e darne un’immagine moderna al mondo.
Se torniamo ai nostri lidi, non troviamo annunci straordinari sull’argomento, ma una questione spinosa: quale status giuridico concedere alle macchine autonome più avanzate?
Nel febbraio 2017 è passata, con 396 voti a favore, una richiesta del Parlamento europeo alla Commissione Ue, riguardante norme per la definizione delle responsabilità civili ed economiche dei robot e uno studio degli effetti dell’automazione sull’occupazione. Si propone anche di istituire un’Agenzia europea per queste problematiche e una particolare attenzione alle responsabilità e coperture assicurative dei nuovi veicoli autonomi (automobili senza conducente). Le nuove norme sui robot dovranno rispettare i diritti fondamentali dell’uomo e il principio di sussidiarietà, cioè <<lo sviluppo della tecnologia robotica dovrebbe mirare a integrare le capacità umane e non a sostituirle>>. Il testo è consultabile sul sito del Parlamento europeo.
È chiaro come queste questioni non siano più appannaggio di scrittori di fantascienza, ma di urgenza politica nell’immediato futuro. Tuttavia questo percorso giuridico difficilmente arriverà a concedere una piena cittadinanza ai robot, poiché l’obiettivo dello sviluppo dell’AI (intelligenza artificiale) è di essere d’aiuto all’uomo, non di sostituirlo, che sarebbe fine non auspicabile e al momento impossibile. Un futuro più roseo e probabile sarebbe invece quello, in cui le macchine eseguiranno quei lavori “disumani”, molto faticosi e ripetitivi, lasciando agli uomini più tempo libero, lavori intellettuali, ma anche manuali dove sia richiesta originalità, come nell’artigianato o in fatture di pregio a mano.
Si tratta di una fase delicata, in cui alcune professioni stanno scomparendo e altre nascendo. A questo proposito, poco tempo fa, sono state proposte delle tasse per le aziende che “assumono” robot, soldi che sarebbero poi investiti in servizi sociali e formazione per i lavoratori umani. Ma nuove proposte si discutono continuamente.
Insomma oggi siamo già sul punto di affrontare le possibilità e i pericoli dello sviluppo della robotica, che dovrebbero essere discussi senza toni sensazionalistici o apocalittici. Il compito è affidato non solo alle grandi aziende o istituzioni, ma anche alla discussione critica nella società civile. È indispensabile che i cittadini comincino a familiarizzare con queste problematiche, per poter poi decidere attraverso la politica in che modo debba evolvere questo processo, che avrà conseguenze concrete e significative sul nostro futuro.
Antonio Mendicino