Dante per tutti

Dal tronco nascono i rami, dai rami i ramoscelli.
Così spuntano i capitoli quando il tema è fecondo.
Moby Dick, Herman Melville
Il bene tende spontaneamente a diffondersi. Questa è tra le poche idee che nel mondo medievale ha avuto un’ampia diffusione e tra l’élite e tra il popolo. Una cosa buona, fatta bene, che nel meraviglioso gioco dei trascendentali si identifica anche con una cosa bella, comunicherà naturalmente la sua bontà alle altre, o spingerà qualcuno a farlo per lei. Che sia frutto di un progetto consapevole, di Dio o dell’uomo, che sia la naturale ed involontaria conseguenza delle leggi del mondo, la comunicazione del bene permeava l’immaginario sociale medievale, ed è rimasta in forma secolare e secolarizzata nella modernità.
Roma, anno 2017. Dietro piazza Navona (Vicolo delle Vacche 2), in un quartiere dall’atmosfera barocca e carnevalesca, ogni giovedì alle 19:30 Luca Maria Spagnuolo, trentunenne laureato in storia dell’arte, legge e commenta la Divina Commedia. Quello che qualche anno fa era nato come un esperimento funziona: un piccolo pub, un gruppo eterogeneo di persone ad assistere, un’ora di lettura e commento di un canto dell’opera somma di Dante. Non starò qui a descrivere il talento di Luca, e nella difficile arte della retorica e nella grande padronanza di un universo culturale immenso come quello dantesco; non mi interessa neanche sottolineare il legame che ogni volta emerge con il pubblico – il legame non si crea, emerge spontaneamente quando l’oggetto condiviso viene trattato con cura. Anche se meriterebbe attenzione, non parlerò della totale assenza di qualsiasi tipo di smartphone (per più di un’ora!!) nel locale nel Vicolo delle Vacche, fenomeno singolare di questi tempi. Non farò tutto questo, perché grazie ad un artifizio retorico della nostra meravigliosa lingua l’ho già fatto.
Ciò che voglio raccontare, e che dopo un anno di ‘letture dantesche’ mi ha portato a scrivere questo articolo, è l’ultimo incontro a cui ho partecipato. Poco prima del canto, infatti, Luca ha fatto recitare ad un suo amico, attore della scena romana, una ‘giullarata’, cioè un testo teatrale comico da lui composto sulla base di una novella del XIV secolo. L’esperimento funziona: il testo è piacevole, il pubblico si diverte, ma soprattutto viene involontariamente – involontarietà tipica dell’allegrezza – riportato in un clima tardo-medievale. Nessuno tra loro ha chiesto al Medioevo di raggiungerli, tutti si sono fatti prossimi a lui. Perché è importante sottolineare questo punto? Perché soltanto chi ha creato, chi ha fatto esperienza della creazione – non per forza ex nihilo – può farsi interprete delle creazioni altrui. Dante non è per tecnici, è per umanisti. Non c’è interesse nello scrivere un articolo su un buon tecnico, su colui che con grande stile e capacità riporta specularmente qualcosa di non suo. Il lavoro tecnico è una fase del lavoro dell’umanista, certo, ma non può esserne l’ultima parola. Chi ha esplorato a fondo un terreno naturalmente ci crea o costruisce qualcosa sopra, ed è spinto a comunicarlo, a renderlo visibile agli altri, a volte da una chiamata più grande di lui. È a quel punto che l’opera, anche un commento, si trasforma e diventa più grande dell’autore stesso. Nel suo piccolo, barocco quartiere Luca ha studiato, raccontato e, da qualche tempo, ha iniziato a creare Dante; nei suoi piccoli, giganti tentativi ‘giullareschi’, Luca esercita un’arte oramai dimenticata.
Dante per tutti, è questo il titolo con cui Luca e l’associazione culturale Febo, a cui fa riferimento, hanno pensato di chiamare l’evento settimanale. Ho inteso questo ‘per tutti’ in senso spaziale: se vivete a Roma o se passate di lì per caso, una buona idea, che come tale comunicherete agli altri così come io sto facendo con voi, può essere fermarsi il giovedì al Vicolo delle Vacche.