BERLINALE 2017 | Viceroy’s house, occhi britannici sui rifugiati dell’India

Berlino – Non tutti sanno che nel 1947 l’India fu protagonista del più grande esodo di rifugiati mai visto al mondo con 14 milioni di persone disperse, la regista e reporter britannica Gurinder Chadha, che questa porzione di storia se la porta nel sangue, ha realizzato un film che guarda alla tragica vicenda della separazione della neonata India indipendente con occhi britannici e cuore punjabi, Viceroy’s House. Il film è stato presentato oggi in concorso alla 67esima edizione del Festival del Cinema di Berlino.
Più di tutto è la storia personale della sua famiglia che ha spinto Gurinder Chadha a desiderare di fare un film che raccontasse le terribili conseguenze che hanno recato le lotte tra musulmani, hindu e sikh e la successiva divisione tra India e Pakistan.
“Non volevo esplorare le ragioni della divisione o delle dispute politiche tra personaggi pubblici, volevo essere sicura che il pubblico venisse a conoscenza dell’impatto che questa divisione ha avuto sulla vita delle persone ordinarie” ha detto la regista in conferenza stampa.
La sua famiglia fu protagonista di questa grande diaspora di etnie religiose da una parte all’altra del paese. La regista, dopo il grande successo nel 2002 del suo ultimo film, Sognando Beckham, si è presa alcuni anni per immaginare una storia che potesse raccontare in modo umano e sotto diversi punti di vista quest’evento storico legato alle sue origini, ma ancora vivo ai giorni nostri per quanto riguarda il tema dei rifugiati. Di qui l’idea di ambientare il film nell’ultima residenza del Raj britannico a Delhi, la casa del viceré. Espressione dell’architettura coloniale che racchiude al suo interno un microcosmo abitato da più di 500 persone, di tutte e tre le etnie, che vi lavorano.
In Viceroy’s house Hugh Bonneville (il conte Grantham nella serie televisiva Downton Abbey) è Lord Mountbatten, nipote della regina Vittoria, che nel 1947 si trasferì nella sontuosa residenza per favorire il processo di transizione dell’India da colonia a unione di stati indipendenti. Gillian Anderson, già Dana Scully nella serie televisiva X-Files, è Lady Mountbatten, moglie dell’ultimo viceré, che seguì e appoggiò il marito in questo delicato incarico. La casa del viceré divenne il luogo in cui i personaggi politici più influenti dell’India dell’epoca, compreso lo stesso Gandhi, si incontrarono per decidere le sorti della futura India indipendente e disegnare i confini tra le due nazioni in via di separazione.
Sullo sfondo della vicenda politica si sviluppa anche una romantica storia d’amore all’interno della grande casa tra un servitore indhu e una impiegata musulmana. Tutto per rendere il racconto storico quanto più possibile umano e vicino alle persone.
“Mi interessava mostrare che non è corretto incolpare Lord Mountbatten della scelta di dividere l’India -ha spiegato Gurinder Chadha-, perché in realtà non si è trattato di una sua decisione e le disastrose conseguenze che ne sono seguite non sono state una sua responsabilità. Volevo raccontare questa storia dalla prospettiva di mia nonna. Mountbatten non aveva altra scelta che dividere la nazione e, in un certo senso, si può dire che la violenza è stata colpa nostra”.
Per realizzare Viceroy’s House la Chadha si è ispirata ad alcuni testi come Freedom at midnight di Larry Collins e Dominique Lapierre e The Shadow of the Great Game di Narendra Singh, ma i suoi due punti di riferimento cinematografici sono Passaggio in India (1984) di David Lean e Gandhi (1982) di Richard Attenborough.
Eppure del grande genere epico purtroppo Viceroy’s house mantiene solo il ricordo. Si percepisce fortemente che la regista avesse molto da raccontare e intendesse raccontarlo in modo molto personale. Tuttavia a causa di questo suo essere un ibrido tra resoconto storico e personale e racconto di finzione il film non raggiunge mai quella cifra distintiva in grado di innalzarlo a vero capolavoro e si mantiene su un livello medio soprattutto grazie alla bellezza delle scenografie e dei costumi.