Gioco d’azzardo: l’azzardo di non chiamarlo un gioco

“Si ritiene generalmente che,
tra le cose degne d’esser notate,
questi animali non conoscevano affatto
l’uso né dei bossoli, né dei dadi,
ma poiché avevano dei re
e conseguentemente delle guardie,
si può naturalmente presumere
che conoscessero qualche specie di giochi.
[…]Milioni di api erano occupate a soddisfare
le vanità e le ambizioni di altre api,
che erano impiegate unicamente a consumare
i prodotti del lavoro delle prime”.
Bernard de Mandeville,
La favola delle api
Forse non a tutti è noto il passo con cui abbiamo aperto questo articolo sul gioco d’azzardo. Tratti dal poemetto satirico contenuto nel testo La favola delle api del filosofo olandese Mandeville (1670-1733) in questi pochi versi troviamo riassunto il messaggio principale dell’opera, cioè la condanna dell’ipocrita mascheramento di fenomeni come la prostituzione o il gioco d’azzardo che invece contribuiscono al benessere della società e dell’economia di un Paese. Per citare il titolo completo, tra le api come tra gli uomini a vizi privati corrispondono pubbliche virtù. In Italia il gioco d’azzardo è monopolio di stato dal 1993 e si stima che ogni anno porti 8 miliardi nelle casse dell’erario. A far da contraltare a questi dati ci sono le nefaste conseguenze sulla popolazione: solo in Italia un milione e quattrocento famiglie vengono impoverite a causa del gioco d’azzardo e ci sono ottocentomila giocatori a rischio dipendenza. Date queste premesse, le domande a cui tenteremo di rispondere sono tre: 1) l’azzardo è un gioco? 2) che ruolo ha, o dovrebbe avere, lo Stato nei suoi confronti? 3) cosa possiamo fare? A quest’ultima domanda rispondo subito, sperando di non aver già perso la vostra attenzione. Se le argomentazioni seguenti vi convinceranno, incuriosiranno, sdegneranno, il 7 Maggio avrete la possibilità di agire attivamente contro l’azzardo in numerose città d’Italia, partecipando a una colazione organizzata dal movimento SlotMob in un bar che non ospita Slot Machine. Chiamatela cittadinanza attiva, democrazia economica, voto col portafoglio, ma in ogni caso l’idea brillante è quella di premiare i bar ‘virtuosi’ (nota bene: premiare, e non incentivare) e lanciare un preciso messaggio al mondo politico. Perché partecipare? Vediamolo insieme.
L’azzardo non è un gioco da molti punti di vista. Il termine viene dall’arabo az-zhar, dado, che indica da un lato il profondo nesso con la dimensione della sorte, della fortuna e dall’altro un comportamento, quello di chi ‘azzarda’, dai toni profondamente irrazionali. Il gioco è tutt’altro. Il gioco insegna a rispettare le regole, esalta la creatività del giocatore, richiede impegno, insegna il valore della sconfitta, crea relazione con altre persone. Il gioco, per usare il lessico di un gigante della filosofia morale e politica contemporanea come Alsdair MacIntyre, è una pratica sociale con valori e regole. Martha Nussbaum, altro personaggio di spicco della filosofia mondiale, inserisce il gioco e il saper giocare tra le dieci fondamentali capacità di ogni essere umano. Chi non capisce la dimensione sociale del gioco, la sua capacità di creare valore e relazione in un tempo che ne ha sempre meno, facilmente vi includerà l’azzardo. Eppure nelle sue forme più problematiche, le uniche che mettiamo in questione in questo articolo, cioè le Slot Machine e i Gratta e Vinci, l’azzardo non rispecchia nessuna delle caratteristiche sopra elencate.
Mi aspetterei ora la classica obiezione che porta le lotterie di paese o il ‘picchetto’ della domenica calcistica come esempi (positivi) di ‘gioco d’azzardo’. Il problema è che da tempo non si tratta più di questi fenomeni. L’azzardo è in mano a grande aziende nazionali e multinazionali il cui solo scopo è il profitto, e che, pertanto, impiegano la loro razionalità tecnica per diffondere e promuovere questo ‘gioco’ in maniera capillare. Negli autogrill, nei supermercati, alla posta viene continuamente proposto al consumatore un Gratta e Vinci; sempre più bar si dotano di Slot Machine e le sale Slot si moltiplicano nelle città; il ‘picchetto’ della domenica si è moltiplicato in centinaia di possibili modalità di gioco, pre e durante la partita; la pubblicità e internet centuplicano la risonanza del fenomeno, diffondendo il messaggio anche a generazioni legalmente impossibilitate al gioco. Considerando che la ludopatia (o azzardopatia) è dietro l’angolo, che nelle sale Slot i poveri (perché sono loro i principali habituè di questi luoghi) diventano ancora più poveri, mi pare si possa dire che la situazione trascenda di molto la semplice lotteria nazionale.
Quale ruolo per lo Stato allora? Qui si dividono due grandi posizioni, riconducibili a quella dei libertari da un lato e a quella dei fautori di uno Stato-etico dall’altro, a mio parere egualmente insostenibili. I primi in nome della libertà di scelta del singolo individuo richiedono che l’autorità pubblica si faccia garante della legalità del fenomeno, ma nulla più. Anzi, secondo loro è l’impresa multinazionale che deve farsi promotrice attiva di campagne di sensibilizzazione, come quando nelle pubblicità una voce fulminea ci avverte che il gioco nuoce gravemente alla salute. Buffo, a coloro che hanno come scopo di somministrarci il veleno si chiede anche di preparare la cura (forse giocano sull’ambiguità semantica del termine greco pharmakon, chissà). I sostenitori di uno Stato-etico invece intendono sradicare il fenomeno in ogni sua manifestazione, basandosi sull’idea che la politica debba promuovere le virtù tra i cittadini e, conseguentemente, reprimere i vizi. La dicotomia considerata genera due posizioni inconciliabili ma, probabilmente, è frutto di un’errata formulazione del problema.
Richiamando le riflessioni del filosofo tedesco Thomas Pogge (dedicate a un altro tema) propongo qui di considerare il problema in termini di ‘doveri negativi’. I libertari sostengono che gli unici doveri ammissibili, gli unici che lo Stato debba promuovere e garantire attraverso la legge, siano quelli espressi nella formula del do not harm, non danneggiare l’altro individuo rispettandone la sfera di libertà. Tutto il resto, eccetto forse l’essere garante del rispetto dei contratti, esula dalla sua competenza. Ebbene, con Pogge, noi superiamo la dicotomia libertari-Stato etico affermando il dovere negativo dello Stato di non danneggiare le persone attraverso la promozione e la mancata disincentivazione del fenomeno dell’azzardo. L’azzardo produce povertà e disagio sociale e, come se non bastasse, corrode la libertà di scelta, la capacità di libero arbitrio di coloro che ne sono dipendenti. Un evento come SlotMob, lo ripeto, è un modo creativo per esercitare un nostro diritto e allo stesso tempo per adempiere a un nostro dovere negativo, ricordando allo Stato di fare altrettanto. Devo precisare che io non condivido appieno la lettura dei ‘doveri negativi’. Quello che Pogge fa appellandosi a questo artificio espositivo non è eliminare il campo dell’etica dalla politica e dall’economia, ma semplicemente mettere davanti a coloro che vorrebbero farlo le basi etiche minime sulle quali poggiano le loro tesi. In altre parole, li confuta partendo dalle loro premesse. In una materia così delicata come l’azzardo, però, questo modo di procedere può essere particolarmente fruttuoso e può creare la possibilità di un dialogo.
Concludo auspicando un ritorno della passione civica nel cuore delle persone, cioè della capacità di indignarsi davanti ai casi in cui il mercato e la società si presentano come ‘incivili’. Non è un finale utopico, non ho usato i termini passione e capacità a caso. Ciò che dobbiamo recuperare è la capacità di armonizzare logos (la ragione) e phatos (dimensione sentimentale del patire, ricevere, sentire) per indignarci delle cose che davvero contano. Un esempio? Smetterla di fossilizzarci soltanto sui problemi che ci vengono proposti dai media, curiosamente corrispondenti a diritti non economicamente onerosi, e uscire a fare colazione insieme.