Giovani al massacro: il delitto di Luca Varani ucciso “per vedere l’effetto che fa”
Lui si chiamava Luca Varani, romano di 23 anni. Doveva essere il jolly di turno in un festino a base di alcol e droghe pesanti, allestito da due studenti fuori corso e fuori di tutto, certi pseudo-umani Manuel Foffo e Marco Prato, che spendevano il loro tempo allestendo party nell’ambiente gay. Quella notte brava al quartiere romano del Collatino, c’erano gay ed etero “simpatizzanti”. Le droghe erano pesanti, tanto pesanti e copiose, acquistate dai due per un valore di ben 1500 euro, c’è chi dice 1800. Ci si doveva divertire molto quella notte e il più a lungo possibile, solo per “ vedere l’effetto che fa ” morire a rilascio lento, tra sofferenze atroci e indicibili.
Lasciamo alle cronache i particolari troppo macabri di questa incredibile vicenda accaduta pochi giorni fa a Roma. E restiamo attoniti, senza parole. Nulla ci sembra tanto efficace per descrivere questo nuovo fatto criminale, che ci riporta alla mente in sorprendente parallelismo il massacro del Circeo del settembre 1975, dove tre studenti di buona famiglia romana perpetrarono orrende sevizie a due semplici e ignare ragazze.
Di sottofondo a tali crimini portati all’estremo, si enuclea una componente che va oltre l’assunzione della droga, o che in realtà la droga stessa serve a far a tornare a galla. Ed è quella della pura “ crudeltà “, della malvagità di fronte alla quale gli stessi psichiatri e sociologi restano anch’essi interdetti, laddove l’ aiuto dell’antropologia può offrire una migliore analisi della genesi di quell’ homo homini lupus. Ma in realtà gli animali sono molto più puri dell’uomo: essi uccidono solo per la sopravvivenza della specie.
Quand’anche occorre chiamare in causa la tossicologia, che può spiegarci più adeguatamente gli effetti provocati sul cervello da certe sostanze, il cui uso è diffuso ad ogni livello sociale assai più di quanto si creda. Ma se certe droghe arrivano a togliere ogni inibizione, a dare una sorta di delirio di potenza, sembra il caso di considerare un’altra componente, cioè quella che in psicologia si chiama “transfert”.
Uccidere la tua icona
Nel caso dell’uccisione di Luca, sembra si voglia distruggere l’altro per distruggere se stesso, il te stesso che non ti piace, che in fondo odi da sempre e che vuoi sopprimere: ti trasformi così in aguzzino di una “forma” che riveste ciò che hai dentro e che inconsciamente rifiuti, ciò che origina dal tuo incolpevole dna o che semplicemente ti sei andato costruendo per vivere in tutta libertà nell’appariscenza del vivere, specie quando a favorirti è il portafoglio pieno che ti dà forza e ti assolve da ogni mancanza di scrupoli morali. Ma poi ti accorgi – senza averne coscienza – che quanto sei andato costruendo della tua vita non va bene. E la droga porta alla luce quel qualcosa che non ha funzionato per il suo verso. Infierire sull’ospite di una nottata e vederlo morire lentamente significa ripercorrere le fasi di quel tuo disfacimento. Quel ragazzo, che di nascosto della sua fidanzata ogni tanto si metteva i tacchi a spillo per racimolare qualche centone, andava eliminato, cancellato dalla faccia del globo come l’icona di te stesso.
Si tratta solo di interpretazioni in chiave psicologica che non debbono però giustificare in alcun modo quanto di orrendo si è compiuto sul corpo del povero ragazzo e che – se fossimo giurati nel processo che ne seguirà – non esiteremmo a puntare il “pollice verso” per una punizione esemplare a carico dei due responsabili.
Ci siamo sempre sentiti favorevoli alla rieducazione alternativa di quanti delinquono, perché crediamo fermamente in quella parte migliore dell’uomo, in quel cavallo bianco che ci permette di riemergere dalle miserie. Ma la malvagità è un mostro che si abbarbica nel più profondo dell’uomo. Sconti di pena, indulti, amnistie servono troppo spesso a svuotare le carceri superaffollate e a rimettere in circolazione individui tarati nel cervello e nel midollo delle ossa, individui che, una volta liberi, incorrono nuovamente in quella che si chiama “coazione a ripetere”.
Il cervello arcaico
Rita Levi Montalcini, nelle sue ricerche sulle fibre nervose del cervello, riuscì a scoprire una “proteina”, quel “Nerve Grouth Factor” (Fattore di Crescita Nervoso), che le valse il Nobel nel 1986. La scienziata sperava col tempo di poter aiutare l’uomo a controllare quel suo secondo cervello “arcaico”, che da sempre prevale sul cervello più giovane, il “cognitivo”, che risiede nella neo-corteccia cerebrale. I suoi studi costituiscono la prima importante pietra per ulteriori augurabili ricerche per il controllo sulla prepotente parte emotiva che da ,sempre è causa di tante deflagrazioni sociali. Un eventuale successo di questi studi “sarebbe un grande traguardo per l’umanità”, ebbe a dire la stessa Montalcini.
E ci piace ripetere un suo pensiero, divenuto un noto aforisma: “ Il cervello arcaico ha salvato l’australopiteco, ma porterà l’homo sapiens all’estinzione”.