Revenant: una storia di vendetta e sopravvivenza estrema

O lo ami o lo odi: dal 16 gennaio è al cinema Revenant – Redivivo l’ultimo film di Alejandro González Iñárritu. Dalle atmosfere metropolitane di Birdman, il regista messicano ci scaraventa nella vastità della natura incontaminata del South Dakota, alle sponde del Missouri, sulle tracce di un personaggio realmente esistito. Si tratta di Hugh Glass un esploratore vissuto a cavallo tra la fine del ‘700 e l’inizio ‘800; i racconti sulla sua vita sono una perfetta miscela tra verità e invenzione che si rivela materiale prezioso per il romanzo di Michael Punke del 2002 che ispira il film.
Siamo tra il Montana e il Dakota di inizio ‘800. All’epoca zone ancora inesplorate che venivano penetrate per la prima volta da compagnie commerciali che assoldavano esploratori assetati di guadagni in spedizioni pericolose a caccia di animali da pelliccia. Ad accoglierli trovavano una natura ostile, inverni rigidi e frequenti scontri con gruppi di nativi americani deprivati, violati e depauperati dall’arroganza con cui venivano portate avanti queste spedizioni commerciali.
Il film inizia infatti con una cruenta battaglia, realmente avvenuta nel 1823, quando un gruppo di spedizionieri viene attaccato da indiani Arikara. Questo è l’episodio che rompe l’equilibrio e da inizio all’epopea di Hugh Glass il quale assieme alla manciata di compagni sopravvissuti si da alla fuga a bordo della loro imbarcazione. Presa la via di terra, inizia il pericoloso viaggio verso l’accampamento di Fort Henry. Un viaggio dove le strade di Glass e dei compagni si divideranno in un cammino tra la vita e la morte.
Di li a poco il protagonista viene ridotto in fin di vita in seguito all’attacco di un grizzly ed essendo troppo pericoloso rallentare il gruppo, il corpo martoriato di Glass viene lasciato al figlio Pawnee, al cattivo Fitzgerald e al giovane Jim Bridger interpretato da Will Poulter che si riconferma uno dei più versatili attori britannici. Ma Glass tiene duro, in tutto il film sembra venire rigettato dalla morte che lo respinge a forza nel mondo per compiere un unico grande atto: la vendetta. Dopo aver assistito all’assassinio a tradimento del figlio ed essere stato abbandonato da chi avrebbe dovuto occuparsi di lui, inizia una lotta primitiva per la sopravvivenza. Quella di Leonardo Di Caprio è una magnifica performance fisica; è il suo corpo infatti a raccontarci la sofferenza e la tenacia del personaggio anche in vista di un copione molto scarno per lui: a causa delle ferite alla gola non parla per quasi due terzi del film.
A caratterizzare l’intera pellicola è un accentuato dualismo tra elementi assoluti come la vita e la morte, l’uomo e la natura, il bene e il male, il coraggio e la viltà, l’uomo e Dio. Il contrasto tra il candore della neve e il sangue emerge prepotentemente dall’ancora una volta brillante lavoro di Emmanuel Lubezki. Iñárritu ci proietta in una natura immensa e potente, una natura che a fianco a Dio ha sempre l’ultima parola sull’uomo che al contrario si fa piccolo attore impegnato a conservare una fragile vita. Questo senso di fragilità che si ha di fronte ai boschi sterminati, la neve pesante e le acque gelide dei fiumi, fa spiccare ancora di più protagonista. L’eroe coraggioso per eccellenza, abile ad orientarsi tra le montagne, conoscitore della lingua Pawnee, inseparabile dal suo fucile, capace di sopravvivere alle condizioni più estreme. È crudo e primitivo l’istinto che ci fa fuggire dalla morte; momenti esemplari sono lo squartamento del cavallo per farne un giaciglio caldo e i brandelli crudi e sanguinanti di un bufalo al richiamo della fame.
La luce naturale della fotografia, la limpidezza dell’aria del Dakota trovano un perfetto abbinamento con la colonna sonora firmata sapientemente Ryuichi Sakamoto, Alva Noto e Bryce Dessner.
Questo film o lo ami o lo odi. Lo puoi odiare perché è maledettamente lungo e due ore e mezza di vasti paesaggi e lunghi silenzi possono essere impegnativi. Come può disturbare la brutalità di alcune scene o pratiche come la rimozione dello scalpo. È vero, è quello che in inglese si definirebbe disturbing. Revenant ci porta lontano dalla nostra zona di comfort con l’intento di darci una scossa per dare eco a domande tutt’altro che leggere. A chi spetta punire l’ingiustizia e fino a quando l’uomo può agire prima di lasciare il compito a Dio? E soprattutto, dov’è Dio in tutto ciò?
Potrete amarlo od odiarlo, ma le giurie pare abbiamo le idee abbastanza chiare: al momento i Golden Globe già intascati sono tre e le candidature all’Oscar una dozzina.