Polaroid dal passato Pompei, 24 agosto 79 d.C.

Argomento recentemente al centro di polemiche e critiche a causa della scarsa cura nella sua tutela, meta ambita di turisti e viaggiatori, Eldorado per archeologi e studiosi, luogo magico per quanti amano la storia con la S minuscola, quella dei piccoli oggetti, della casa della quotidianità, Pompei mantiene immutato il suo fascino perché, come diceva Goethe “mai nessuna catastrofe ha procurato tanta gioia come quella che seppellì queste città vesuviane”.
La vita di Pompei è rimasta immobilizzata come sotto un incantesimo. Strade monumenti, case, giardini e soprattutto gli abitanti, tutto è rimasto pietrificato nell’atto di compiere l’ultimo gesto diventando l’unico luogo al mondo che ci racconti nel dettaglio la vita quotidiana di una normale città romana.
Pompei, la vivace cittadina ufficialmente nota come Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum, era un animato centro la cui fortuna economica si basava sull’attività commerciale: il commercio del garum, della pietra vulcanica, della lana e la produzione agricola dell’agro circostante.
Una cittadina popolosa e dinamica, di quasi ventimila abitanti, caratterizzata da una struttura urbanistica ordinata , presentava un tracciato misto: da una parte le strade si disponevano ordinatamente secondo la struttura del cardo e del decumano partendo dal foro, mentre un’altra parte lasciava trasparire le influenze non romane, probabilmente osche del primissimo insediamento urbano. Sappiamo infatti che l’intera zona, in epoca molto antica, era stata occupata dalle popolazioni autoctone, e che poi queste vennero in contatto con gli etruschi e i greci prima e con i romani in seguito. Dunque una cittadina caratterizzata anche da una vivacità potremmo dire etnica e culturale.
La tragedia che la sconvolse, conservandola fino a noi, è un momento della storia antica di così enorme portata che venne tramandata dagli scrittori, ma che manifesta la sua gravità in moltissime testimonianze documentali antiche.
Pompei fu cancellata in poche ore da una violentissima eruzione del Vesuvio, un evento che cancellò non solo questa vivace città, ma anche i suoi dintorni e le cittadine vicine, come quella di Ercolano, di Stabia e molte altre. L’eruzione che avvenne fra il 24 e il 25 agosto del 79 d.C. è stato l’episodio più violento, quello conclusivo di una serie di fenomeni sismici e vulcanici che da anni attanagliavano la città.
Dell’eruzione rimangono oltre alle straordinarie testimonianze letterarie, epigrafiche e storiografiche, le bellissime lettere che Plinio il Giovane inviò allo storico Tacito, suo amico, narrandogli della morte di suo zio, Plinio detto il Vecchio. In una di queste troviamo la dettagliata descrizione delle ultime ore di Plinio e degli straordinari segni che precedettero e costituirono la tragedia.
In una di queste lettere Plinio racconta: “Caro Tacito, mi chiedi di narrarti la fine di mio zio per poterla tramandare ai posteri con maggiore esattezza. E te ne sono grato: giacchè la sua fine, se narrata da te è destinata a gloria non peritura. Benché egli sia perito in mezzo alla devastazione di bellissime contrade, assieme a intere popolazioni e città, in una memorabile circostanza, tuttavia alla durata della sua fama, molto aggiungerà l’immortalità della tua fama, molto aggiungera l’immortalità ai suoi scritti (..)” In questo modo ha inizio lo struggente racconto di come Plinio al comando della flotta, partendo da Capo Miseno, per prestare soccorso alla popolazione in difficoltà, perse la vita ai piedi del Vesuvio.
Ma i presagi, per gli antichi, noi diremmo avvisaglie, del disastro erano state numerose, solo difficilmente interpretabili con i mezzi a disposizione. Sappiamo infatti che nel 62 d.C. un catastrofico terremoto colpì Pompei e molte delle città campane, tra cui Ercolano. Le distruzioni dovute al terremoto furono profonde: Quando infatti nel 79 d.C. avvenne la tragica eruzione, erano ancora in corsi lavori di restauro e ricostruzione degli innumerevoli edifici danneggiati . Molti degli edifici pubblici non erano ancora stati ripristinati. Le fonti narrano che molti dei cittadini più abbienti avevano fronteggiato la catastrofe, e il relativo timore, spostando la loro residenza altrove, spesso nelle ville di campagna nei dintorni di Pompei. Lo sconvolgimento dovuto a quel tragico episodio sismico fu così violento da influire sugli anni successivi per quel che riguarda sia la situazione economica che il normale svolgimento della vita cittadina. Gli anni fra il terremoto del 62 e l’eruzione del 79, sono caratterizzati dall’enorme sviluppo economico ed edilizio cui si dedicarono i pompeiani, in parte per rispondere alla crisi che si era abbattuta sulla città, in parte cogliendo quello che era un limite e trasformandolo in opportunità. Pompei che aveva sempre vissuto dei profitti provenienti dallo sfruttamento dall’agro circostante, si trasformò in un enorme cantiere edilizio, mettendo in disparte le attività che ne avevano caratterizzato l’economia fino ad allora: agricoltura e commercio. Molte famiglie di liberti trovarono la loro fortuna nella speculazione delizia, dai cantieri agli affitti, fino a sfruttare saggiamente gli appalti e le forniture di materiale edilizio.
Dunque all’alba del 24 agosto del 79 d.C. Pompei era un immenso cantiere. Quella mattina gli abitanti di Pompei, come del resto quelli di Ercolano, Stabia e delle aree limitrofe, si svegliarono sotto una enorme nuvole che come descrisse poi Plinio, aveva la forma di un pino, e che prendeva le mosse dal Vesuvio. A metà mattinata il gigantesco tappo di lava solidificata che ostruiva il cono eruttivo del vulcano esplose con una violenza terrificante sotto la spinta dei gas e volò in aria dove si frantumò generando i lapilli che si depositarono nell’aera intorno al vulcano all’incirca per un diametro di 70 km, nella direzione di Pompei. Né Sorrento, né Ercolano furono toccate dalla pioggia di lapilli, che ricoprirono Pompei per una altezza di 2,60 m. Tale pioggia iniziata dunque il 24 agosto cessò soltanto il 28, accompagnata da esalazioni di gas venefico e dalla caduta di cenere. Il terrore era inoltre acuito dalle continue e violente scosse sismiche che danneggiarono profondamente le città come Napoli, Nola e Sorrento. Ercolano fu ricoperta da una terrificante colata di fango, colmando l’aera occupata dalla città per una altezza di 20 m.
Pompei cessò di esistere nella stessa giornata dell’eruzione. Il terrore vissuto dagli abitanti può essere ancora osservato nei calchi di quei corpi che avevano tentato di trovare riparo e che invece sono rimasti pietrificati. Quelli che non riuscirono a fuggire restarono soffocati dall’area bollente, satura di gas e di particelle non respirabili; molti rimasero schiacciati dalle costruzioni crollate sotto il peso dei lapilli e squarciate dalle violente scosse sismiche. Non si riuscì né in antico, né attraverso le indagini moderne a fare una stima dei morti. Sappiamo che l’imperatore Tito accorse in aiuto dei sopravvissuti e formò una apposita commissione per i soccorsi. Le proprietà dei deceduti che non avessero eredi, vennero prontamente messe a disposizione delle città danneggiate.
Ma Pompei non esisteva più
Valeria Vaticano
15 luglio 2012