Il 18 febbraio 1564 moriva Michelangelo Buonarroti

Nel febbraio del 1564 Michelangelo Buonarroti, all’età di quasi novant’anni, era malato. Gli ultimi tre giorni della sua vita, conclusasi il 18 di quel mese, li trascorse febbricitante nella sua casa romana di Macel de’ Corvi dove il notaio compilò il suo sintetico testamento: “lasciava l’anima sua nelle mani di Dio, il suo corpo alla terra, e la roba a’ parenti più prossimi”, come riportò il Vasari. Non essendosi mai sposato, lo accudiva il servo Antonio e al suo capezzale erano presenti l’amato Tommaso de’ Cavalieri, l’allievo Daniele da Volterra e l’amico Diomede Leoni. La casa era modesta e oltre alla cucina e due camere comprendeva la cantina, la bottega, la stalla e l’orto; gli era stata messa a disposizione nel 1513 dagli eredi di papa Giulio II affinché potesse portare a compimento le quaranta sculture decise per la tomba del pontefice, progetto che via via ridusse e non poté mai compiutamente realizzare. Abitò in quell’alloggio per mezzo secolo, tranne i soggiorni a Firenze, a Venezia, e a Carrara per scegliere i marmi, e nonostante avesse accumulato grandi ricchezze non traslocò mai e tenne comportamenti parsimoniosi.
Negli ultimi giorni della sua vita, quando “va chinato et con fatica alza il capo et ancora attende del continuo a scarpellare standosi in casa”, lavorava alla Pietà Rondanini, iniziata nel 1552. Su quel blocco di marmo l’infaticabile vecchio lavorò nelle fredde notti invernali tormentato dall’ossessione della morte. In quel gruppo marmoreo dalle forme appena sbozzate è difficile ritrovare il vigoroso e irascibile Michelangelo del grandioso Mosè. Aveva forse perso con l’età le sue violente energie? Non aveva perso nulla, anzi aveva acquistato una disperata religiosità e una rassegnazione agli eventi prima sconosciutagli.In quella madre che sorregge amorosamente il figlio vi è la commovente testimonianza di un qualcosa d’antico e modernissimo insieme che svincola l’opera dal suo tempo e la fa partecipe di un’epoca universale. Questo “non finito” si differenzia dagli altri “non finiti” tragicamente oppressi dalla materia bruta con cui sembrano lottare, perché qui terminano le fatiche umane, qui non esiste più né lotta né ribellione, anzi vi libra intorno il rasserenamento di chi accetta un’estrema sentenza senza appello alcuno. Mai un masso deforme ha potuto esprimere una così alta spiritualità e un così intenso raccoglimento.
Michelangelo morì a Roma e la salma fu deposta ai SS. XII Apostoli ma Firenze ne reclamò le spoglie, il nipote Lionardo Buonarroti trafugò il corpo, lo nascose in un rotolo di panni e caricatolo su un barroccio insieme ad altre merci lo portò a Firenze dove il maestro venne sepolto il 12 marzo 1564 nella chiesa di Santa Croce. La cerimonia funebre si celebrò il 14 luglio nella Basilica di San Lorenzo dove venne innalzato un “catafalco … forse macchinoso, retorico e per così dire, già barocco, ossia poco adatto al gusto e al carattere di Michelangelo. Però le sue grandi dimensioni e la complessità delle strutture e degli ornamenti erano pur sempre una vistosa testimonianza dell’ammirazione per il Divin Maestro”. Nel 1570 fu compiuta la monumentale tomba in Santa Croce, su disegno del Vasari, decorata con tre statue che impersonano l’Architettura, la Scultura, la Pittura, le somme arti alle quali aveva consacrato se stesso.
Cinzia Albertoni
18 febbraio 2014