Guerrigliero, Teorico, Guida Politica: Chi è Abdullah Öcalan l’eroe curdo.

Non è la prima volta che Abdullah Öcalan, storico fondatore e leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), chiede al suo gruppo di abbandonare la lotta armata e di avviare un processo di
pace. Quest’ultimo annuncio di Öcalan, che si trova detenuto in isolamento in un carcere turco dal
1999, è stato fatto però in un momento di difficoltà per il gruppo, che è stato indebolito dalle ripetute campagne militari turche degli ultimi anni.
La figura di Öcalan è leggendaria per i curdi, simbolo di quella insurrezione armata che dal 1978 con la fondazione del PKK ha lottato per favorire la nascita di uno stato indipendente per i curdi della Turchia, e sebbene il vecchio fondatore non abbia ruoli operativi nel PKK ormai da decenni è ancora considerato la figura di maggior rilievo e influenza nel gruppo. Principale responsabile del cambiamento di paradigma nella lotta curda, dall’indipendenza e dai postulati marxisti-leninisti a una visione confederale per i popoli del Medio Oriente nel loro insieme, Öcalan è l’ideologo del cosiddetto Confederalismo Democratico, un concetto politico basato sulla democrazia diretta, sul femminismo e sull’ambientalismo, che oggi è condiviso da gran parte delle organizzazioni curde negli Stati in cui la popolazione è divisa.
La vita, la cattura e l’esilio
Abdullah Öcalan nasce ad Ömerli, un villaggio della provincia di Sanliurfa nell’Anatolia Sud- Orientale, il 4 aprile del 1948. Dopo aver frequentato il liceo statale di una piccola città di provincia, si iscrisse alla facoltà di scienze politiche dell’Università di Ankara, che negli anni della contestazione studentesca era particolarmente attiva in manifestazioni e nella partecipazione degli studenti ai movimenti di sinistra, ma caratterizzata dalla presenza anche di alcuni movimenti studenteschi di destra. Dopo il colpo di Stato militare del 1971 molti studenti di sinistra preferirono lasciare gli studi o si trovarono costretti a farlo. Influenzato dalla situazione della popolazione curda, Abdullah Öcalan divenne un membro attivo della Associazione Democratica Culturale Dell’Est, un’associazione promotrice di diritti per il popolo curdo.
Nel 1978, fonda il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), le cui rivendicazioni fondamentali erano l’autonomia della popolazione curda dalla Turchia, l’ecologia, l’emancipazione della donna e la distruzione del sistema capitalista. Öcalan e i suoi scelsero immediatamente la via della lotta armata cominciando a compiere azioni di guerriglia e piccoli attentati contro lo stato turco fino a che, nel 1984, avviarono una grande insurrezione armata nel sud-est del paese, dove vive la maggioranza dei curdi turchi. Di fatto, da allora, Turchia e PKK sono sempre stati in guerra, se si escludono alcuni momentanei cessate il fuoco. È una guerra che ha conosciuto momenti più violenti e altri di maggiore calma, in cui le parti si affrontavano con operazioni militari più limitate. Si stima che in tutto siano state uccise più di 40 mila persone, in gran parte civili curdi.
La fuga dalla Turchia
Öcalan, come il resto della leadership del PKK, ben presto lasciò la Turchia e fuggì all’estero, pur mantenendo il controllo della sua organizzazione. Trascorse vari anni in Siria sotto la protezione di Hafez al Assad fino a che nel 1998 fu costretto a lasciare il paese. Passò poi alcuni mesi in esilio in vari paesi d’Europa, e nel novembre del 1998 arrivò in Italia. Abdullah Ocalan arrivò in Italia il 12 novembre 1998. All’epoca in Italia il governo era guidato da Massimo D’Alema, che si era insediato circa un mese prima, dopo la caduta del governo di . La gestione di Romano Prodi nel caso fu molto criticata, sia per le modalità dell’arrivo in Italia del leader curdo dalla Russia, sia per la mancata concessione dell’asilo politico da lui richiesto. Arrivato in Italia accompagnato da Ramon Mantovani, all’epoca deputato di Rifondazione Comunista e responsabile Esteri del partito, Ocalan si consegnò alla polizia sperando di ottenere in qualche giorno l’asilo politico.
Il governo però non glielo concesse anche per le pressioni ricevute dall’estero, in particolare da Turchia e Stati Uniti, e per non correre il rischio che le aziende italiane venissero boicottate dal governo turco. Il 16
dicembre 1998 la quarta sezione penale della Corte d’Appello di Roma stabilì che Abdullah Ocalan doveva essere considerato come un cittadino libero, revocando l’obbligo di dimora e il divieto di espatrio che gli era stato imposto il 20 novembre 1998. La Corte stabilì il non luogo a procedere nei confronti dell’estradizione, in riferimento al mandato di cattura emesso dalla Germania. Il 23 dicembre 1998, Massimo D’Alema, durante la conferenza stampa di fine anno, disse “L’esito più probabile di questa vicenda è che Ocalan se ne vada dal nostro Paese”.
L’allontanamento volontario
Il governo di centro sinistra decise infine di far partire Abdullah Ocalan, ufficialmente, con la formula di un “allontanamento volontario”, il giorno prima di partire, infatti, Ocalan scrisse una lettera in cui sosteneva di aver deciso spontaneamente di lasciare l’Italia, anche se molti pensarono che fosse stato costretto a farlo. Gli vennero proposte diverse destinazioni, principalmente in Africa ma Ocalan le rifiutò, ritenendole poco sicure. Si fecero diverse ipotesi, ma non era facile trovare un paese disposto ad accogliere il capo del PKK. Dopo 65 giorni in Italia, il 16 gennaio 1999, Ocalan fu convinto a partire per Nairobi, in Kenya.
Pochi giorni dopo, il 15 febbraio 1999, fu catturato dagli agenti dei servizi segreti turchi durante un trasferimento dalla sede della rappresentanza diplomatica greca in Kenya all’aeroporto di Nairobi.
Fu poi rinchiuso in un carcere di massima sicurezza in Turchia, nell’isola di İmralı, e lì è rimasto fino a oggi.
Nell’aprile del 1999 il tribunale per la sicurezza dello Stato di Ankara emise nei confronti di Abdullah Ocalan un atto d’accusa per tradimento e attentato all’unità e alla sovranità dello stato turco condannandolo alla pena di morte, in base all’articolo 125 del codice penale turco, con l’accusa di essere il responsabile di tutti gli atti terroristici del PKK e la morte di migliaia di persone. La condanna, tuttavia, vista la reazione che avrebbe potuto suscitare nella popolazione curda e nella guerra con il PKK, non venne comunque eseguita, Bulent Ecevit, allora presidente della Turchia, si oppose probabilmente per evitare di compromettere le trattative della Turchia per entrare nell’Unione Europea.
Nel 2002 la Turchia abolì la pena di morte e la pena di Ocalan si trasformò in ergastolo. Dopo l’arresto di Ocalan, comunque, il PKK cominciò a ridimensionare le sue richieste di indipendenza e iniziò a chiedere solo maggiore autonomia, fino all’annuncio di oggi che prevede il cessate il fuoco e il ritiro dei militanti curdi dalla Turchia.

Un potere a distanza
Dal suo arresto e dal suo esilio sull’isola di İmralı, Ocalan in questi anni ha continuato la sua battaglia politica di rivendicazione per una maggiore autonomia e rispetto della popolazione curda da parte della Turchia, affrontando in prima persona e sulla sua pelle i segni dell’attivismo politico e dell’ideologia. Anche se vive in un carcere turco da ormai 26 anni, Abdullah Öcalan è ancora considerato come un dio vivente da buona parte dei circa quaranta milioni di curdi del Medio Oriente. La sua parola vale come quella di un oracolo, dunque non sorprende che il suo appello del 27 febbraio abbia assunto una dimensione storica.
Le richieste di Öcalan segneranno una svolta, soprattutto se saranno esaudite, da settimane infatti gli stessi temi sollevati da Öcalan sono al centro di un acceso dibattito nei ranghi del Pkk con la direzione del partito, nelle montagne del nord dell’Iraq, che ha seguito le parole del fondatore aprendo un dialogo con Ankara, ma non è chiaro se acconsentirà anche allo scioglimento. In ogni caso, la possibilità di un cambiamento è evidente, non solo in Turchia, ma nell’intera regione. I curdi, infatti, vivono anche in Siria, Iraq e Iran. Non si tratta del primo tentativo di trovare un accordo tra il capo del Pkk e il governo di Ankara. Già nel 2000 e nel 2013 Öcalan aveva chiesto una tregua, ma in seguito erano sempre riprese le violenze.
Ora però il leader curdo ha compiuto un passo ulteriore, raccomandando l’abbandono della lotta armata e lo scioglimento del partito. Vedremo quindi se la guida del movimento di rivendicazione curda avrà, dal suo esilio, trovato una soluzione alla risoluzione del conflitto curdo-turco; lo scorso ottobre Öcalan aveva confidato ad alcune persone che erano andate a trovarlo di avere “il potere teorico e pratico di trasferire il
conflitto dal terreno della violenza a quello giuridico e politico”.