PRESA DIRETTA: nel mirino i Paperoni della Capitale
Ricchezza e povertà in eterna antitesi sono come la rosolia e la varicella, malattie esantematiche che la storia non può debellare con un qualche vaccino capace di funzionare come “ ‘a livella” di Totò.
La trasmissione di Rai 3 “Presa Diretta” ha aperto la stagione autunnale sullo strepitoso spettacolo della ricchezza, anzi della sfacciata opulenza circoscritta, nella prima puntata, alla sola città dei Sette Colli. Pare che proprio a Roma vi sia il concentrato dei Paperonidi . Resta il falso abbaglio della cosiddetta “invidia sociale”. Un abbaglio che da sempre ha creato miti inarrivabili e prodotto fenomeni spesso controproducenti . Si è parlato di trasmissione coraggiosa, ma sembra piuttosto un’operazione volta ad accrescere i profondi e legittimi malumori del momento preparando il ribaltamento di certi e persistenti orientamenti elettorali. Il coraggio della paura.
Tant’è, nel cuore tumultuoso e pieno di contraddizioni della Città Eterna esistono oasi seminascoste nel verde dove pare che anche le polveri sottili non trovino spazio di attecchimento, ricacciate dalla barriera lussureggiante di clorofilla al di sotto dei parapetti del Tevere dove i barboni sono pronti ad ingoiarle tutte nelle loro gole inaridite da lattine di birra da quattro soldi. Sopra, al di là di quelle barriere, c’è un frigo con decine di bottiglie di Dom Perignon.
Stiamo parlando di quei Club sportivi ed esclusivi che sorgono sulle rive del Tevere, dove, per essere soci, si deve possedere un conto in banca quasi pari al debito italiano. Capitano gli infiltrati per invito, come quelli che di mestiere fanno da chaperon a qualche ricca signora oppure le solite donnine allegre sempre benvenute in questi convivi, anzi d’obbligo. L’occhio delle telecamere di Presa Diretta è penetrato sa in questi sancta sanctorum della Capitale e, non solo, nelle ville dei più ricchi privati lasciando senza fiato milioni di spettatori, molti dei quali tanta grazia di Dio non l’hanno mai vista. Pare che soltanto il 10% degli italiani sia quello a possedere il 50% dell’intera ricchezza nazionale.
A non voler incorrere nell’apologia della ricchezza, il ricco che quella ricchezza non gli è piovuta dal cielo per improvvisa vincita all’Enalotto, sa come gestirla, ha in sé la cultura e la conservazione del bene posseduto. Lo ama e lo custodisce come una sua creatura, perché conosce la preziosità artistica di ogni pezzo della casa, perché sa dare la giusta collocazione ad ogni mobile ed accostare colori ed arredi con classe ed eleganza. “Il lusso senza cultura è un abuso”, è la convinzione di Marisela Rivas y Cardona, nobildonna assai colta, nipote di un ex presidente del Venezuela e sposata in seconde nozze con l’aristocratico italiano Paolo Federici. La trasmissione di Rai 3 quel lusso ce l’ha sbattuto in faccia, penetrando nella sua villa romana sull’Appia Antica.
Villa, resort, castello? Un po’ di tutto questo nel disegno dell’architetto di regime degli anni ’30, Marcello Piacentini. La villa si snoda in un prosieguo di ambienti, angoli, salotti, terrazze, l’uno complementare all’altro per funzionalità. Vedi la stanza dei piatti, quella dei bicchieri, quella delle posate, l’altra degli argenti, l’altra ancora delle collezioni preziose di porcellane d’ epoca, il tutto in meticolosa collocazione negli scaffali secondo i colori, le misure ed il pregio artistico-storico. Soltanto la cucina è un arsenale. Le sei persone di servizio hanno il loro bel daffare nei momenti di festino perché la signora in questione è ben apprezzata dalla mondanità capitolina per essere un’ospite assai generosa. Ne sanno qualcosa certi esponenti politici sia della “Droit” che della “Gauche”, onnipresenti agli eventi conviviali di Villa Federici.
La nobildonna tiene a dire che, proprio in questi tempi di crisi, i suoi festini si rivelano una vera e propria terapia contro la depressione. “Meglio una festa al mese che ogni settimana dallo psicanalista”. Sacrosanto. Anche la gente comune lo sa e cerca di non pensare alla fine del mese organizzando con gli amici il classico pic-nic di campagna con la tovaglietta a quadretti. Ognuno è depresso a modo suo. Inoltre, la bella signora dichiara di “non capire proprio” coloro che ricorrono al suicidio come extrema ratio. A suo parere, sono persone con delle “tare mentali”. “Lavorare, lavorare, lavorare” – è il suo motto – “ed avere sempre speranza”. Già, la speranza di trovarlo, il lavoro, non deve morire mai.
Una “patrimoniale” a quel 10% degli italiani, no?…. Spargeranno qualche lacrima dentro la loro Roll Royce, risparmiandoci però qualche sospiro in più dentro la nostra modesta utilitaria ….
Angela Grazia Arcuri
5 settembre 2013