Perché siamo Scontenti, secondo Marcello Veneziani
Nel suo libro Scontenti. Perché non ci piace il mondo in cui viviamo (Marsilio Editori, 2022), Marcello Veneziani ripercorre il male oscuro del nostro presente, ovvero il taedium vitae che ci rende umani e che ci spinge al mutamento.
L’inevitabile eccedenza del possibile sul reale
Tema centrale dell’analisi non è la tristezza o la malinconia. La scontentezza è infatti la condizione prometeica di perenne insoddisfazione, connaturata all’uomo e aggravata dall’epoca storica (dopo-storica, per dirla meglio) in cui viviamo.
Ci troviamo infatti in un momento di generale perdita dell’idea di spazio, per via della globalizzazione; di tempo, per la progressiva assenza di tracce antropologiche, dovuta al passaggio alla sfera digitale, e di connessione con il passato, presente e futuro; di senso della vita e del proprio percorso, un sentimento rafforzato anche dagli scenari negativi che affliggono il mondo.
Le basi teoriche
Marcello Veneziani, nella sua opera, si confronta con una miriade di pensatori, lontani e vicini, classici e controversi.
Da Sant’Agostino, il quale afferma che inquietum est cor nostrum, arriva al filosofo figlio della paura (Hobbes), poi agli esperti dell’Assurdo (Camus e Sartre), al nichilista Cioran, fino ad autori contemporanei, come lo studioso della storia dei Sapiens (da cui l’opera omonima), Yuval Noah Harari.
Attento studioso di filosofia civile e cultura politica, l’autore, per addentrarsi nel tema della scontentezza, tocca vari temi e problemi.
Il punto di partenza è l’analisi del Potere contemporaneo, che ci vuole e ci ha costruiti insoddisfatti. Ciò è stato possibile con l’elaborazione della macchina economica consumistica, che governa le nostre vite ed i nostri impulsi, spingendoci a fagocitare prodotti, servizi, promesse, mossi dal vuoto che abbiamo dentro.
La conseguenza è stata la nascita di una vera e propria società del malcontento, insoddisfatta e perciò rivoltosa. Questa non è rimasta solo all’esterno, ma ha generato un mal de vivre che ha trovato dimora dentro di noi, che si accende nei momenti in cui non ci preoccupiamo per la nostra sopravvivenza e nutrimento (in quei momenti siamo pari alle bestie e non pensiamo).
Lo scontento di oggi
Se la scontentezza è tipica della nostra specie, non si può dire che prima eravamo scontenti come oggi. Il punto di non ritorno è stata infatti la rivoluzione industriale, che ha plasmato il nuovo mondo del lavoro frenetico, ha inaugurato il cambiamento climatico, l’era digitale, del meta e transumano.
L’essere (sempre meno) umano ne è uscito disorientato, specie se si osserva l’Occidente. Uno dei momenti apicali, soprattutto in Italia, è stato il ‘68: un anno di rivolte, che però non ha cambiato la situazione a livello macro.
Da qui, Veneziani elenca tutti gli effetti collaterali della mancata vittoria globale dei sessantottini, aprendo la parte più divisiva dell’opera.
Punto primo, l’eco-ansia e la perenne preoccupazione per l’ambiente in cui viviamo. Punto secondo, la liberalizzazione dell’arte e la perdita del bello. Terzo, la progressiva secolarizzazione ed ateizzazione delle genti. Segue poi il tramonto dell’idea di patria e tradizione, legato alla perdita di differenze, che l’autore imputa anche al discorso gender.
Una fiamma da controllare
Quelli elencati da Veneziani sono tutti problemi o semplici cambiamenti, evoluzioni?
La pluralità di risposte che si possono dare, anche in vista di chi avrà modo di confrontarsi con questo volume, oltre ad allontanare-avvicinare i lettori all’opera e potenzialmente all’autore, riflette i dibattiti, le manifestazioni, i titoli di giornale, le linee di pensiero che inondano il nostro tempo.
Nella conclusione del libro, si cerca di rispondere alla domanda: come lenire la scontentezza di vivere?
Anzitutto, occorre sottolineare che la scontentezza non è qualcosa di totalmente negativo: ci appesantisce e ferisce, ma è anche il motore della conoscenza e del miglioramento di se stessi, gli altri e il mondo.
La chiave è trovare l’interruttore dello scontento e l’insegnamento finale è riassumibile nelle parole del Sommo Poeta: State contenti, umana gente, al “quia”. In altre parole, gioite di ciò che è dato ed immutabile.