La commedia all’italiana: il volto di una nazione in continuo cambiamento

La commedia all’italiana, nata a partire dal 1958 e terminata negli anni ’80, rappresenta uno dei momenti d’oro del cinema nazionale. Lo spirito critico e l’ironia si fondono per dare vita ad un carattere ottimistico, proprio del tempo.
Si tratta di un genere ibrido che si muove nel terreno del comico ma incorpora, oltre al tragico, altri registri: il giallo (in Crimen di Mario Camerini), il western, il gangster movie e il fantastico (in Fantasmi a Roma di Antonio Pietrangeli).

Vizi e virtù degli italiani proiettati al cinema
“All’italiana” è l’elemento con cui si lega un modo di fare cinema ad un’identità nazionale.
In un momento di profondo cambiamento come quello del miracolo economico, gli italiani hanno bisogno di pensare e rielaborare il vissuto identitario.
Il legame tra memoria e storia è centrale in questi film, gli ideali e le paure vengono narrati attraverso dei prototipi e poi demistificati, come nel caso della Prima guerra mondiale descritta da Monicelli in La grande guerra.
Nel film Sordi incarna lo stereotipo dell’italiano che non si batte per la patria, ma a dispetto della propria natura muore da eroe.

La commedia all’italiana lavora proprio con e contro lo stereotipo: da una parte esamina un cliché per ricorrere al comico, dall’altra semplifica per innescare processi identificativi più vasti.
Ciò è riscontrabile nel cinema di Pietro Germi, il quale è caratterizzato da un tono grottesco e da luoghi comuni (come la famiglia patriarcale e il tema dell’onore), che vengono utilizzati per affrontare i problemi del paese come le arretratezze giuridiche.
Sotto un’apparente narrazione rassicurante si trovano le faglie del Paese. Il bisogno, ad esempio, di dipendenza dell’uomo racconta la rielaborazione della mascolinità italiana, molto distante dalla virilità aggressiva proposta dal fascismo. Si parla della figura del “mammone”, impersonato da Alberto Sordi o dell’inetto di Marcello Mastroianni.
L’antieroe è il protagonista che porta con sé tutte le magagne: il medico senza scrupoli (Il medico della mutua di Luigi Zampa), il moralista ipocrita, l’avaro, ecc.
Si tratta dell’“italiano medio”, sgradevole e grottesco, immerso in una degradazione morale a causa di una società dominata dal materialismo, dalla competizione e dalla furbizia (basti ricordare I mostri di Dino Risi).

Tuttavia, i registi di tali commedie non intendevano davvero muovere una critica sociale nei confronti dei comportamenti abietti, ma mostrare i costumi degli italiani attraverso parodie che piacessero al pubblico e riempissero le tasche di denaro.
Una realtà tanto sfaccettata, quella italiana, da riflettersi anche nella lingua utilizzata dal cinema di quegli anni, la quale assume la pluralità dei dialetti e dei linguaggi settoriali.
Perché nella finzione della lingua si celano verità inespresse che riguardano sia l’immagine pubblica sia la sfera più intima e privata.
I divi della commedia
I personaggi mettono in scena i limiti e le qualità degli italiani del boom e li cristallizzano in stereotipi destinati a diventare icone di una generazione.
Ma soprattutto i divi che li interpretano (Sordi, Gassman, Tognazzi, Manfredi e Mastroianni) rappresentano uno degli elementi di maggiore riconoscibilità (e pregio) del genere.

I “mattatori” del cinema italiano sono un prolungamento dei grandi attori perché esibiscono il proprio talento con una recitazione invasiva, priva di naturalezza.
Un lavoro basato sulla deformazione e non sul rispecchiamento che la commedia mette in gioco attraverso i suoi costruttori di performance.
Il loro divismo è originale perché mitizza la mediocrità, ma si fregia anche di grandi metamorfosi: attori che dapprima sono protagonisti dei palchi teatrali ora acquisiscono fama attraverso ruoli borghesi.

Un esempio calzante è quello di Vittorio Gassman, da attore teatrale e “cattivo” nel cinema diviene comico in I soliti ignoti, grazie al regista Mario Monicelli.
Quest’ultimo scommette sull’attore, mascherando in lui la sonorità della voce con una goffa balbuzie e l’austerità del volto con il trucco.
Da altero antipatico a simpatico divo popolare, Gassman si impadronisce di una scioltezza recitativa tipica della commedia all’italiana e lo fa grazie alla televisione: la palestra popolare per eccellenza.
Arrivando all’apice della sua fama e preparazione artistica con Il sorpasso di Dino Risi, film che evidenzia con spirito critico il fare sfrontato e irriverente dell’uomo italiano negli anni ’60.

L’emancipazione delle donne
Fino a questo momento la donna è marginale nel cinema italiano, viene relegata al ruolo di madre, sorella, figlia e a pura prorompenza fisica (le maggiorate).
Con gli anni ’60 però, si avvia un processo di modernizzazione del costume e dell’emancipazione femminile, per cui il cinema diviene un mezzo fondamentale d’espressione.
La commedia all’italiana, in un certo senso, demolisce il mito della mascolinità dominante e offre delle prospettive diverse.
Viene subito in mente Stefania Sandrelli, una diva poco rassicurante, perché intrisa di un fascino malinconico e torbido. Ma il suo famoso bikini a stampa, indossato in Divorzio all’italiana di Pietro Germi, diventa il simbolo culturale della rivoluzione sessuale in atto.

Monica Vitti invece, mette in evidenza l’evoluzione della femminilità e dell’immaginario di bellezza femminile nella commedia popolare.
Un fascino moderno e leggiadro in contrasto con quello tradizionale mediterraneo, che apre i caposaldi nazionali al cosmopolitismo.
La Vitti mette in scena, con verve comica e voce rauca, una serie contraddizioni che riguardano il ruolo della donna nella società.
In La ragazza con la pistola di Mario Monicelli, l’attrice si confronta con lo stereotipo della donna siciliana, che in questo caso riesce a fuggire dalla sua cultura grazie ai valori arcaici in cui crede ciecamente.

Entrambe riescono ad intercettare le contraddizioni di un Paese in rapida evoluzione, insieme anche a alla Cardinale e alla magnifica Loren.
Sophia Loren incarna ancora la bellezza italiana stereotipata e dalle forme voluttuose, ma il suo piglio vivace e l’energia della sua personalità la rendono l’attrice italiana più amata.
Riesce a coniugare le figure dell’icona sexy e della donna forte in tutti i film, come in Ieri, oggi, domani di Vittorio De Sica, di cui è celebre la scena dello spogliarello.

Inizia un nuovo tipo comicità
A partire dagli anni ’70, periodo di grande cambiamento per l’Italia e soprattutto di terrorismo politico, la commedia all’italiana spara le ultime cartucce (C’eravamo tanto amati di Ettore Scola e Amici miei di Nanny Loi).
Arrivano così i nuovi i nuovi comici come Massimo Troisi e Carlo Verdone, ma l’egocentrismo dei loro mondi discorsivi li distanzia decisamente dalla commedia all’italiana dei primi anni ’60.
I maestri di questo tipo di commedia avevano fatto del dialogo la forma vitale dell’espressione filmica, tenendo un rapporto aperto tra passato e futuro, tra visioni diverse della vita.
I nuovi autori invece, prediligendo il monologo, si presentano come unità chiuse che si pongono al di fuori della realtà circostante e perdono quella magia collettiva.
Oltre ai titoli già citati si consiglia la visione delle seguenti commedie all’italiana:
- Il mattatore
- La ragazza con la valigia
- I complessi
- Io la conoscevo bene
- L’armata Brancaleone
- Contestazione generale
- Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto
- Pane e cioccolata
- Il marchese del grillo