Resurrexit Cassandra. Jan Fabre e la forza del mito in scena a Napoli
Il Napoli Teatro Festival ha aperto l’edizione 2020 con una nuova e inedita produzione dell’artista di Anversa più acclamato, controverso e discusso, Jan Fabre. Con il suo ultimo, perturbante e visionario impegno, Resurrexit Cassandra, il multiforme artista belga conferma ancora una volta il suo amore per l’Italia, soprattutto per Napoli. Amore assolutamente ricambiato dalla città, che ancora ricorda la grande mostra diffusa dell’anno scorso, dal Madre a Capodimonte, dal Pio Monte della Misericordia allo studio Trisorio, in cui Fabre ha dialogato intimamente e visceralmente con il tessuto urbano e soprattutto con il profondo contesto culturale della città, riflettendo intorno all’estetica, alla bellezza, alla vanitas, alla potenza della morte e della rinascita. Sempre utilizzando il suo linguaggio versatile ed entrando in relazione con la storia, la mitologia e le leggende autoctone, con forza e sensibilità.
L’ultima produzione firmata Jan Fabre per il Napoli Teatro Festival
La continuazione ideale sembra dunque confluire nella performance di living installation e real-time performance presentata a settembre di quest’anno al Teatro Bellini, nella quale l’artista ha messo in scena, su testo di Ruggero Cappuccio, direttore artistico del festival partenopeo, e musiche originali del francese Arthur Lavandier, la resurrezione di una sciamana moderna. Punita da Apollo per non essersi a lui concessa, Cassandra porta con sé e cerca, invano, di esternare, le sorti nefaste della sua famiglia e del mondo intero.
La performance solitaria, estatica e lasciva della perturbante Stella Höttler si configura in cinque “stazioni”, cinque atti che corrispondono a cinque elementi naturali ed esoterici. Vestita per cinque volte diversamente e con cinque colori differenti, la contemporanea Cassandra si muove estaticamente e orgasmicamente in un palcoscenico che la annulla e la moltiplica, che la inghiotte e la fiacca. La Cassandra di Fabre piange, urla, grida, si dispera, inveisce come una Madre Natura violata, che avverte l’umanità sulle sorti disastrose del mondo; un’umanità silente, ignorante e inconsapevole dei suoi stessi mali.
Un lungo percorso nella mitologia
Il duraturo discorso intrapreso da Fabre con la mitologia e la “scrittura” teatrale trova in Resurrexit Cassandra una sorta di quadratura del cerchio e di tacita consonanza con un’altra opera di rottura del belga, Mount Olympus, un’autentica ode alla celebrazione del culto della tragedia della durata di 24 ore, nella quale i performers si avvicendano sulla scena tra balletti di twerk in un dissonante e sensuale outfit “grecizzante”, salto della corda, pianti sulle spoglie sanguinolente che rievocano Balkan Baroque di Marina Abramović, estasi dionisiache e calme atmosfere apollinee, e un sirtaki di meravigliose sculture viventi nude.
L’impegno “mitologico” di Fabre, nonché l’amore per la nostra terra, rievocano con grande nostalgia i vagabondaggi notturni in cui Pina Bausch si immerse alla fine degli anni Novanta, tra Roma e Napoli, per la creazione della sua O Dido, di cui ricorre il ventesimo anniversario. Non casualmente i due artisti, – se così riduttivamente possono essere definiti – sono stati idealmente inseriti, insieme a Fabio Castellucci, nell’ottavo volume dell’About the great European Stage Directors, sancendo l’unitarietà compositiva, ma evidenziando anche i differenti approcci estetici della composizione autorale.
Citando uno degli aforismi dello stesso Fabre: “Art is a kidnapping (Art is a woman and this woman has kidnapped me. I can’t be without her, she who has taken me hostage)”. E la sua nuova Cassandra sembra la chiave di volta ideale per interpretare questo sillogismo.