Forma/Informe. Fotografie non-oggettive alla GAM di Torino

La rassegna Forma/Informe nella Wunderkammer della GAM di Torino è dedicata agli sviluppi della fotografia italiana post-secondo conflitto mondiale.
Come accade per l’arte visiva in generale il discorso circa la fotografia appare complesso e si intreccia con gli avvenimenti culturali degli anni del secondo dopoguerra.Questo controverso periodo creativo è momento in cui la fotografia si confronta con duri cambiamenti culturali i quali mutano al ritmo di aperture e chiusure nei confronti di differenti orientamenti politici nazionali ed internazionali; con un unico tratto comune: l’impossibilità di affermare un’ideale di bellezza, soprattutto dopo le barbarie della guerra appena conclusa.
L’idea del fotografo documentarista viene rifiutata insieme a quella del fotografo decadentista.
L’artista non si riconosce negli schemi imposti dalle definizioni di realismo o di astrattismo, sente invece di voler rivendicare per la sua produzione una indipendenza quasi esistenzialista e malinconica, connessa allo studio sull’essenza di una nuova forma, ormai lontana da quella dettata dalla pura intuizione o dalla pura oggettività.
Sulla linea di tali considerazioni la Wunderkammer della GAM di Torino accoglie straordinarie fotografie in cui la composizione degli scatti viene continuamente messa in crisi nell’ottica di una determinata revisione estetica, spesso accompagnata o da un certo senso di tristezza o altre volte da una forte esplosione vitalistica.

Il percorso inizia dalle pionieristiche indagini di Giuseppe Cavalli (1904-1961) con il ritmo del suo luminismo fotografico, accompagnato da una scelta di soggetti solitari e visivamente strutturati in forme prime, come ad esempio Opera n. 20 (anni Cinquanta gelatina bromuro d’argento) e dalla sperimentazione del coetaneo Luigi Veronesi (1908- 1998) particolarmente interessato all’effetto vibratile del dualismo tonale creato dal gioco sui positivi/negativi dei suoi scatti, come si nota in Struttura, 5 (1938 gelatina bromuro d’argento).
Si passa da stimoli precursori ad una fase più cosciente di non-oggettività fotografica con le distorsioni di Franco Grignani (1908-1999) visibili in opere come La folla. Fenomeno di subpercezione [L’immagine affiora dalle soffuse ombre] (1954 gelatina bromuro d’argento) o nelle sperimentazioni di Pasquale De Antonis (1908-2001).
Seguono gli splendidi ed inediti lavori di Piergiorgio Branzi (1928) quali alcuni pezzi della serie Montmartre in cui le vedute urbane del quartiere parigino, distrutto dai bombardamenti della guerra, diventano il bersaglio sul quale puntare un obbiettivo interessato ancora a raccontare qualcosa, senza passare per l’oggettività della visione. Branzi preferisce la percezioni quasi tattile del dramma materico realmente vissuto dagli edifici, immobili soggetti delle sue opere.

Forma/Informe si conclude con i capolavori di Paolo Monti (1908-1982) e la sua serie Scomposizioni dedicata interamente ad un astrattismo fotografico concepito come ricerca del “cuore della materia del mondo” e con la serie Ossidazioni di Nino Migliori (1926), considerato oggi il protagonista dell’informale fotografico del secondo dopoguerra. Nino Migliori sviluppa e fissa delle immagini applicate per mezzo di acidi su ritagli di carta che poi espone alla luce artificiale, o solare o di una fiamma: tale tecnica visibile nell’opera esposta Ossidazione, (1953, Ossidazione) si avvicina alla sperimentazione di Alberto Burri, l’artista che in quegli stessi anni imposta sacchi di iuta su tele e di li a poco avrebbe dato fuoco a rosse plastiche, portando ad un limite drammatico i materiali insieme alla poetica della sua creazione.
L’indagine promossa dalle 50 stampe della mostra Forma/Informe fanno fa emergere come lo sviluppo della creatività dell’epoca sia strettamente interconnesso.
L’arte della fotografia rivendica un’indipendenza che in quegli anni si presenta già molto sensibile a sviluppi e sperimentazioni circa lo studio dei comportamenti estetici di una non-forma. L’informe per la fotografia degli anni Cinquanta del XX sec. non può più essere semplicemente stampato su una superficie, ma deve abitarla, mutarla predisponendola così alle sperimentazioni degli anni seguenti i quali indagheranno una nuova relazione tra l’obbiettivo sensibile e l’esterno, il mondo e l’atto creativo dell’artista.
Nonostante i pochi studi circa i rapporti che legano la fotografia al resto della produzione artistica del periodo, l’arte fotografica si presenta come un territorio fertile di riferimenti ed informazioni che possono ad oggi illuminare nuove interpretazioni, utili alla delicata comprensione di un periodo artistico ancora in via di storicizzazione.
