Un’Europa senza storia tra speranze ed utopia: Alessandro Barbero e Paolo Mieli a Più Libri Più Liberi

Prende il via la XVIII edizione di più libri più liberi, la fiera della piccola e media editoria, con un evento nella Nuvola, la sala più rappresentativa della rassegna. Chiamati a dibattere sono stati due storici illustri e molto conosciuti mediaticamente come Alessandro Barbero e Paolo Mieli, che ci parlano delle radici e del futuro dell’Europa. Infatti l’Europa con i suoi confini e le sue grandi questioni, dall’immigrazione ai diritti civili, dall’ambiente alle sfide della democrazia, è la grande protagonista di quest’anno.
Idea e storia d’Europa
Barbero ci pone subito il problema dell’idea stessa di Europa, una parola a cui oggi siamo abituati fino all’assuefazione, ma sul cui significato probabilmente non siamo tutti d’accordo. L’Europa è stata innanzitutto, fin dall’antichità, un’idea geografica che indica appunto un continente, ma solo molto più tardi ha acquisito un connotato politico. Se pensiamo all’Impero romano, la sua identità non era certamente europea: un immenso impero che si estendeva tra tre continenti (Europa, Asia, Africa) e che trovava il proprio baricentro e identità nel Mediterraneo. Il cambio di paradigma è in realtà facilmente individuabile nelle invasioni barbariche che seguirono al crollo dell’Impero. Nel 600 d.C. la lettera di Papa Gregorio Magno all’Imperatore Romano d’Oriente, in cui lo pregava di non dimenticarsi dell’Europa asservita ai barbari, indica la presa di consapevolezza che l’Europa stava ormai per intraprendere un destino diverso da altre zone.
E’ evidente che da quel momento non comincia una storia comune e lineare che porta l’Europa fino ai giorni nostri. Il nostro continente è eccezionalmente ricco di tanti e diversi popoli, lingue, tradizioni, che spesso si sono trovati in conflitto. I padri fondatori di un’idea di Europa unita sono stati grandi personaggi che hanno creato un impero con l’uso della forza e della violenza. A partire da Carlo Magno, passando per Napoleone e la sua missione di diffondere le idee illuministiche della Rivoluzione francese, per arrivare ad Hitler e la sua criminale ideologia nazista. Quando nel 1945 Lucien Febvre, uno dei più grandi storici francesi, scrive la Storia d’Europa, la presenta come la storia di un continuo fallimento senza futuro: una successione di uomini potenti che hanno tentato con il sangue di opprimere e soggiogare una varia molteplicità di popoli. Un’analisi spietata che rispecchia appieno quel momento storico, un’Europa unita sotto il giogo nazista. E forse oggi, ci suggerisce Barbero, non riusciamo a comprendere appieno il coraggio dei padri fondatori dell’Unione europea, che nell’immediato secondo dopoguerra parlarono di Europa unita, slogan che fino a pochi anni prima era stato appannaggio dei nazisti.
Costruzione e futuro dell’Europa
Anche Mieli data la prima unità politica d’Europa nel 1940 sotto il nazismo. Si capisce bene come l’idea di Europa unita nel secondo dopoguerra sia accompagnata da una grande confusione di ideali e di baricentro politico. A ciò si deve aggiungere che sull’Europa appena liberata dal nazifascismo cala la cortina di ferro della guerra fredda, che la divide in due fino alla fine del secolo. Per tutta la seconda metà del Novecento dietro al processo di integrazione europea c’è il sospetto, nutrito da grandi fette del ceto politico e intellettuale, di essere solo un progetto per costruire un’entità vassallo degli USA nella lotta contro l’URSS. Quando nel 1989 crolla il muro di Berlino si offre l’opportunità storica di costruire una vera Europa unita. Tutti ci scopriamo europeisti, ma senza avere un’idea e una storia per l’Europa. E qui secondo Mieli si compie l’errore, le cui conseguenze oggi possiamo toccare con mano, di favorire la costruzione economica a quella politica.
Ad oggi è sicuramente nostro compito scrivere una Storia d’Europa, chiarendo cosa in essa abbia senso e cosa no, e rimettere in discussione l’Europa, facendo un passo indietro sulla costruzione economica per dare spazio all’aspetto politico. Bisogna sicuramente avere speranza in questo processo di rinnovamento perché tornare indietro è brutto e pericoloso. Non solo per le disastrose conseguenze economiche, ma anche e soprattutto perché i processi di rinazionalizzazione possono portare facilmente a guerre (la disgregazione della Jugoslavia lo dimostra). Inoltre una questione centrale è per Mieli capire che costruire l’Europa significa rassegnarsi a cedere sovranità, ad accettare che il comando sia altrove; fino ad accettare gli attuali stati di forze, e perciò il fatto che Germania e Francia comandino i giochi della politica europea. Certamente un finale ispirato da uno schietto realismo politico, che però lascia lo spettatore in sala un po’ dubbioso: se il progetto europeo possa avere più successo sulla base dell’accettazione delle attuali concentrazioni di potere, oppure da un processo democratico, che costruisca la propria unità dalla partecipazione politica attiva di tutti gli Stati del mosaico europeo.