Soft power

Soft power, letteralmente potere dolce o potere coercitivo, è una modalità di politica internazionale che si basa su elementi immateriali quali cultura e diplomazia attraverso i quali persuadere gli altri paesi a voler imitare o aderire alle proprie idee e pratiche.
Si tratta di un termine apparso per la prima volta negli anni Novanta del XXI secolo nel libro Bound to Lead: The Changing Nature of American Power del politologo e professore di Harvard, Joseph Nye. Una parola ampiamente consolidata nel discorso politico contemporaneo che esplora un nuovo concetto di potere in grado di influenzare gli altri attraverso la forza attrattiva dei propri valori, piuttosto che mediante l’utilizzo di forza o pressioni economiche (hard power).
Alle origini del soft power
A partire dall’Ottocento e dalle rivoluzioni borghesi figlie dell’Illuminismo, un nuovo attore ha fatto la sua comparsa negli scenari della diplomazia internazionale: l’opinione pubblica. Consci di poter incidere sulle dinamiche nazionali e internazionali, i cittadini, ormai non più sudditi, hanno iniziato a partecipare attivamente alla vita politica, influenzandola ampiamente.
È poi con la fine della Seconda Guerra Mondiale che il soft power fa capolino nella storia. Una rivoluzione politica che con la Guerra Fredda trova la sua applicazione. L’esistenza di uno scontro immateriale tra USA e URSS e la crescente paura della mutua distruzione hanno generato la necessità di dover attuare nuove strategie per assicurarsi la vittoria.
Ormai non si vince più solo con le armi. Le conquiste non erano più terre occupate o eserciti decimati, ma una buona fetta dell’opinione pubblica che con propaganda e influenza culturale doveva supportare uno dei due poli dell’ordine mondiale piuttosto che l’altro.
Per un lungo periodo storico la politica internazionale si è ,infatti, svolta sulla forza bellica: dal colonialismo come imposizione di un mondo occidentale su un mondo altro, alla Pace di Vestfalia che legittimava la guerra in nome della difesa del proprio spazio nazionale, fino alla Guerra Fredda che ha imposto interrogativi circa la belligeranza umana. Fino a che punto si può spingere l’uomo? La risposta è stata fornita dalla guerra nucleare: fino all’inimmaginabile e oltre.
Quando non si può passare all’attacco con la guerra, perché vuol dire distruzione mondiale, la guerra rimane, cambia solo il modo di farla e trova la sua essenza nel soft power.
Il modello di persuasione statunitense
La costruzione della reputazione americana ha fatto scuola a moltissimi paesi su come si possa agire nelle dinamiche internazionali esercitando la propria leadership. Gli Stati Uniti, sebbene sono un paese di nascita abbastanza recente, sono riusciti a costruire un’immagine internazionale tramite mezzi innovativi di cui sono diventati i migliori utilizzatori.
Il cinema Hollywoodiano è servito nel 1917 per cambiare la fisionomia non interventista americana e poi per costruire un ideale di “American Dream” che invogliasse il mondo a voler sentire parlare di America e a volerne far parte. Pellicole oltre che una ricca cultura musicale fatta di jazz, rock, pop oppure il cibo fast food (McDonald’s e Coca-Cola) e prodotti tecnologici (Apple, Microsoft).
Insomma un modello di vita desiderabile associato a libertà, successo individuale e modernità e che passa anche per una sorta di egemonia economica che sfiora il neo-colonialismo, costruita principalmente durante i due conflitti mondiali. A cui si aggiunge la tendenza a intervenire nei conflitti internazionali con un fare salvifico, ruolo reso possibile anche dal possesso di risorse superiori rispetto ad altri attori globali.
Il nuovo orizzonte del soft power africano
L’Afro-beat è il futuro del soft power. Per modo di dire tra i tre litiganti il quarto gode. Tra USA e Russia a mettere il dito ci pensa la Cina che si prospettava avrebbe potuto fare faville in termini di soft power eppure, sebbene proceda come un treno nella competizione economica, il Covid ha segnato una battuta d’arresto, in parte, per la reputazione internazionale nipponica.
Così il soft power, associato per lungo tempo all’America, ha nuovi scopritori e tra questi c’è l’Africa, patria della musicalità per eccellenza. L’interesse americano ed europeo per questioni che convergono nel conflitto russo hanno dato modo al continente africano di cambiare la propria narrazione internazionale troppo spesso appesantita da stereotipi e costruzioni lontane dalla realtà.
L’Afrobeats rientra in un più ampio fenomeno che dona all’Africa il nuovissimo ruolo di potenza emergente nel mondo culturale. Mentre la K-pop ha aiutato la Corea del Sud a sfruttare il suo soft power, l’Afrobeats contempla la possibilità per l’Africa di entrare nella mappa culturale mondiale, proiettando un’immagine positiva di continente storicamente penalizzato.
Le collaborazioni tra artisti africani e cantanti internazionali come Drake o Rihanna, poi, sono un altro modo in cui l’Afrobeats diffonde valori globali di unione e innovazione, mentre le sue radici africane mantengono la connessione con il patrimonio culturale del continente.