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Perché la birra artigianale è migliore della birra industriale?

Fonte immagine:https://sorgentenatura.it/speciali/malto-di-orzo

La scena brassicola italiana e mondiale è in pieno fermento e non è raro discutere con amici e publican sulla maggiore validità e bontà delle birre artigianali rispetto alle sorelle industriali.

Già il termine “artigianale” fuga qualsiasi dubbio sul perché di questa presa di posizione e la discussione cade così rapidamente nel dimenticatoio. In questo articolo però vorrei sollevare nuovi quesiti e rispondere a qualche semplice domanda per gettare uno sguardo più approfondito sul solco che separa le artigianali dalle industriali

Gli ingredienti

Aldilà delle varie disposizioni legislative sulla definizione di “birra” possiamo dire che i suoi ingredienti fondamentali sono il malto d’orzo, l’acqua, il lievito ed il luppolo. Ci sono altri cereali che vengono utilizzati, ma quasi sempre in percentuale minore e perché si vogliono ottenere determinati risultati: fa parte di una ricetta che punta alla qualità.

Molte birre industriali invece utilizzano dei succedanei così da avere la stessa resa e costi minori. E lo stesso vale per gli altri ingredienti. Questo non significa che ci sia “robaccia”, ma che le materie prime non sono di alta qualità quanto le artigianali.

Chiaramente anche tra le artigianali c’è un mondo intero da approfondire, perché non tutti i birrifici investono allo stesso modo sulla qualità, ma mentre nel mondo artigianale possiamo fare delle scelte, in quello industriale no.

Allargando il discorso ad altri ingredienti impiegati che possono essere gli agrumi, il cioccolato, il peperoncino, la frutta secca e chi più ne ha più ne metta, non serve neanche dirlo, nel mondo artigianale sono presenti davvero; in quello industriale si utilizzano quasi sempre aromi artificiali.

Pastorizzazione e microfiltrazione

In base allo stile di birra prodotto vanno rispettate delle temperature e delle tempistiche, soprattutto in fase di fermentazione, dove si può arrivare anche a quasi due mesi (senza scendere troppo nei particolari).

Questo significa che il fermentatore, di qualsiasi dimensione esso sia, deve restare “fermo”. Un birrificio industriale non può permettersi, vista l’elevata richiesta di mercato, di concedere tutto questo tempo e quindi si utilizzano altre tecniche

La pastorizzazione o la microfiltrazione sono due dei sistemi che fanno da panacea a tutti i mali: tempistiche notevolmente ridotte, birre sempre perfette, lunga conservazione. Sembra una cosa eccezionale vero? Effettivamente lo è. L’industria, che in questo articolo non vuole essere attaccata, ha bisogno di dare il suo prodotto perfetto in qualsiasi negozio, supermercato, bar, pub, ristorante.

Una birra artigianale va conservata ad alcune temperature specifiche, in base allo stile, servita ad un’altra temperatura, tenuta lontano da fonti di calore, luce, non scossa e consumata, per quanto riguarda quelle più luppolate, entro una certa data per avere la stessa freschezza e bontà

Una DDH IPA appena prodotta sarà sicuramente migliore di una di sei mesi prima; per quanto riguarda le birre industriali non c’è praticamente nessuna differenza. Ma allora perché anche il mondo artigianale non utilizza queste tecniche? La risposta è molto semplice.

Si uccide la ricetta, il profumo, i sapori della birra stessa, perché queste tecniche sono invasive e compromettono il risultato che il birraio vuole ottenere.

Da quando sono piccolo mi viene detto che le birre vanno bevute fredde, più fredde possibile, perché? Se si dovessero scaldare un po’ verrebbero a galla gli aromi e sapori non proprio gradevoli.

Il mastro birraio

Questa probabilmente è la più grande differenza tra il mondo industriale e quello artigianale. Nel primo ovviamente sono presenti dei tecnici, dei birrai certamente bravi e preparati, forse i migliori, ma il loro obiettivo è riprodurre fedelmente sempre lo stesso risultato.

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Fonte Immagine: https://assoapiformazione.it/diventare-mastro-birraio/

Nel secondo invece il mastro birraio prova, spreca, butta, indovina, studia, approfondisce e dà sfogo alle sue competenze tecniche e chimiche, ma soprattutto al suo genio. E’ colui che dà vita ad una particolare ricetta, che probabilmente, pur codificata, non darà mai lo stesso risultato, perché le variabili che possono cambiare sono moltissime.

Il mastro birraio, quello vero, punta sempre ad ottenere risultati eccezionali, perché sa che per differenziarsi deve essere sempre ad altissimi livelli; inutile mettersi in concorrenza con aziende che producono 4 milioni di ettolitri l’anno sul solo suolo italiano!

Non c’è la potenza su scala, ma c’è la qualità, che deve essere rispettata da chi acquista la bottiglia o dal publican che la serve direttamente dal fusto: una birra prodotta a regola d’arte, ma conservata o servita in malo modo ne esce penalizzata e degradata. Per le industriali questo discorso viene meno (a meno che non si esageri!).

Conclusioni: birra artigianale e birra industriale

La filiera della birra artigianale, in sintesi, è estremamente più fragile e delicata e necessita di una cura particolare, che può essere anche semplicemente il bicchiere in cui viene servita.

La birra industriale invece supera queste problematiche grazie a tecniche di produzione efficaci, e ad ingredienti più stabili e meno soggetti a mutamenti naturali; il risultato però è una bevanda penalizzata.

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