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POV – Immersività e punti di vista nei videogiochi

Quando leggiamo un libro, guardiamo un film o giochiamo ad un videogioco non è raro che le storie che ci vengono proposte cerchino di metterci nei panni del narratore, protagonista o altri personaggi tramite una narrativa chiamata POV, point of view (punto di vista). Questo tipo di narrazione tenta di abbattere la barriera tra fruitore e narratore andando a raccontare e descrivere gli eventi direttamente in prima persona, palesando pensieri, emozioni, dubbi, etc.

Nei film questo tipo di narrazione viene effettuata tramite monologhi interni e inquadrature POV che descrivono lo stato interno del personaggio; stessa cosa viene fatta nei libri quando lo scrittore descrive con dovizia di particolari elementi e particolari che raccontano lo stato mentale ed emotivo del personaggio preso in causa.

Nei videogiochi, come nei film e in altri media audiovisivi, inquadrature, monologhi interni e narratori esterni sono elementi molto utilizzati per potenziare la narrazione, ma c’è un elemento che, se sfruttato correttamente, riesce a creare una connessione molto forte fra videogiocatore e personaggio digitale: l’interattività.

Agire in prima persona

A differenza degli altri media, che possiamo definire passivi, i videogiochi hanno una fruizione di tipo attivo: gli eventi si sviluppano solamente se il giocatore interagisce con il mondo di gioco, inoltre, le sue azioni e decisioni influenzano gli eventi. Questa interattività porta la narrativa proposta dai videogiochi ad un livello superiore, più immersivo: il giocatore non è un semplice spettatore che subisce gli eventi della trama, ma aiuta il loro sviluppo e ha potere decisionale su di essi.

Fonte: 2duerighe.com
Una scelta può cambiare radicalmente il mondo di gioco

La player agency è l’abilità del giocatore di impattare sulla storia e gli eventi di gioco tramite le sue azioni e, soprattutto, decisioni. Questo concetto, presente solamente nei medium lucidi, responsabilizza le decisioni del giocatore mostrandogli e facendogli vivere le conseguenze delle sue azioni. 

In un videogioco, nonostante le interazioni fra giocatore e mondo digitale siano divise da una barriera ben netta, il dover scegliere, decidere e agire in prima persona sugli eventi a schermo aumenta notevolmente l’engagement emotivo del giocatore. Banalmente, i titoli survival horror proprio grazie a questo aspetto sono molto più spaventosi rispetto ad un film: dover scappare o combattere un mostro sbucato fuori all’improvviso è sicuramente più coinvolgente che urlare la soluzione all’attore dietro lo schermo comodamente seduti sul proprio divano.

Grazie a questo grado di coinvolgimento giocare ai videogiochi diventa qualcosa di più intimo rispetto alla fruizione di altri tipi di media, non a caso quando si parla di un videogioco spesso si usa la prima persona: “…quando [io] ho trovato la spada leggendaria sono riuscito a sconfiggere il boss”, “…noi ci siamo paracadutati nella base nemica…”. 

La potenza di questa immersività, ovviamente, non è passata inosservata dai game designer che, oltre ad usarla per creare storie ed esperienze indimenticabili, l’hanno sfruttata per esplorare temi difficili da comprendere se non li si vive in prima persona, come la vecchiaia, la solitudine, il lavoro o i dilemmi morali, non solo raccontando storie, ma facendo vestire al giocatore i panni di personaggi molto distanti dalla loro realtà.

Una semplice passeggiata

The Graveyard è una brevissima esperienza videoludica sviluppata da Tale of Tales, un piccolo studio di sviluppo belga, in cui si prende il controllo di un’anziana signora intenta in una visita in un cimitero. Il gioco è estremamente semplice: bisogna camminare verso una panchina, sedersi (a questo punto partirà una piccola cutscene in cui la signora ricorda i tempi passati) e tornare indietro.

Questo piccolo gioco è semplice quanto profondo. Controllare l’anziana signora è lento, frustrante e noioso, elemento che vuole trasmettere quello che, probabilmente, molti anziani provano quando passeggiano da soli. Il gioco inoltre non ha scopo, proprio come le giornate di molte persone in età senile: basta far passare del tempo; inoltre i suoni della città sono lontani, dando un senso di isolamento che insieme al filtro in bianco e nero trasmettono una sensazione di vecchio, imminente alla fine.

Fonte: https://tale-of-tales.com/TheGraveyard/
Una tranquilla passeggiata

“Documenti, per favore”

Arstotzka, 1982, una mattina di Novembre un uomo si appresta ad iniziare il suo primo giorno come ispettore di frontiera: il suo lavoro sarà quello di decidere chi può accedere al paese e chi no, decretando il futuro dei potenziali immigrati e del paese. Papers Please è un titolo molto particolare sviluppato da Lucas Pope in cui il giocatore interpreta il ruolo di un ispettore di frontiera nel fittizio paese di Arstotzka che, nel corso di vari giorni, dovrà decidere il futuro di molte persone consentendo o bloccando loro l’accesso al paese. Il titolo potrebbe essere definito un puzzle game, ma per molti ricade anche sotto la categoria degli empathy games.

Paper Please mette il giocatore davanti a dilemmi morali che non hanno effetto solamente sulla persona esaminata al momento, ma anche sul protagonista e su Arstotzka stessa: far passare un uomo che presenta documenti falsi è contro il regime, ma quella mazzetta offertaci potrebbe aiutare molto con le cure contro la malattia di nostro figlio, potrebbero addirittura salvargli la vita, ma se venissimo scoperti potremmo perdere il lavoro…o peggio.

Fonte: 2duerighe.com
Cosa non si farebbe per la propria famiglia]

Nonostante la natura ludica e fittizia degli eventi trattati in Papers Please, giocare a questo titolo potrebbe aumentare la consapevolezza emotiva verso un’ipotetica vita lavorativa in un regime totalitario che, se integrata con studi e informazioni storicamente accurate, aggiunge quell’elemento in più che potrebbe mancare ad un metodo di studio classico.

Entrare nella testa degli altri

Nel 2012 2K Games pubblica Spec Ops: The Line. Sviluppato dallo studio Yager, Spec Ops: The Line si presenta come un normale sparatutto appartenente al gruppo dei classici Call of Duty e Battlefield molto diffusi all’epoca, ma a differenza di quest’ultimi, che dipingono la guerra come qualcosa di eroico e cinematografico, la creazione dello studio tedesco tratta a proposito delle atrocità della guerra e di come compiere certe azioni porti i soldati alla pazzia.

Ispirato fortemente a Cuore di Tenebra di Joseph Conrad, Spec Ops: The Line mette il giocatore nei panni di Martin Walker, un capitano delle forze speciali americane che viene inviato a Dubai per una missione di ricognizione che si tramuta in pochi istanti in un disastro. Durante la campagna il giocatore vive in prima persona le conseguenze delle azioni che i soldati sono costretti a compiere sul campo di battaglia: dilemmi morali e scelte disperate portano il protagonista in una lenta discesa nella pazzia che si manifesta con allucinazioni, attacchi d’ira verso i propri compagni e amnesie. Per enfatizzare il tracollo psicologico e morale del protagonista sono anche presenti buchi nella quarta parete che rimuovono la barriera tra le azioni compiute da Walker e il giocatore.

Fonte: 2duerighe.com
Le nostre decisioni contano anche se impattano un mondo fittizio?

Un altro titolo che esplora eccellentemente il tema delle malattie mentali è Hellblade: Senua’s Sacrifice. Pubblicato da Ninja Theory nel 2017 (circa un mese fa è uscito il sequel sul quale il nostro Marco Piacentini ha scritto un interessante editoriale), Hellblade racconta la storia di Senua, una combattente Pitta affetta da un’aggressiva forma di psicosi che le causa ansia e forti attacchi di panico che si traducono in allucinazioni uditive, come se la ragazza avesse mille voci in testa. Hellblade tratta di salute mentale senza parlarne direttamente ma catapultando il giocatore nella stessa situazione della protagonista: durante ogni momento del gioco sia Senua che il giocatore sono costantemente disturbati da voci intente a schernirci e incoraggiarci, a metterci allerta su una minaccia imminente o mentirci sulla direzione del prossimo attacco nemico. Per certi versi si può dire che Hellblade tratta certi temi meglio di altri prodotti audiovisivi: spiegare tramite immagini e suoni la situazione mentale di un individuo è una cosa, ma far vivere in prima persona al fruitore i dubbi e i disturbi di cui soffre un individuo affetto da psicosi è sicuramente più impattante.

Fonte: 2duerighe.com
L’espressività di Melina Juergens trasmette eccellentemente la disperazione di Senua

La natura interattiva dei videogiochi crea un’immersività e un’esperienza attiva che include il giocatore come elemento determinante per lo svolgimento degli eventi a schermo, è infatti praticamente impossibile giocare ad un videogioco senza prestare un minimo di attenzione. 

Questa inclusione nella narrativa, che porta il giocatore a vivere il rapporto causa-effetto delle proprie decisioni, rende i videogiochi uno strumento molto potente in grado di raccontare e spiegare situazioni molto lontane da noi che, anche se non capiamo pienamente, ci lascino un’impronta emotiva che aumenta l’empatia verso esse.

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