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Hellblade 2 una trama tra prosa e poesia

Senua’s Saga: Hellblade II è già sulle nostre console da una quindicina di giorni, ma le discussioni e le polemiche si sono anticipate, puntando così i riflettori sul gioco forse in maniera poco opportuna.

Accusato di essere tecnicamente poco convincente, con bande nere e 30 FPS fissi, oppure di essere un semplice walking simulator, Hellblade 2 non riesce ancora a far sentire la sua voce per davvero, inghiottito da questa o quell’altra critica. Se il primo capitolo è riuscito ad emergere nel corso del tempo senza le pressioni di un tripla A, il secondo subisce invece la grande attenzione mediatica, dimenticando la cosa più importante di questa saga e, in particolare, di questo nuovo atto: la sua lirica, la sua poesia.

Attenzione: l’articolo contiene spoiler.

Hellblade II – Tra prosa e poesia

Moltissimi videogiochi contemporanei prestano particolare attenzione alla trama, alla sua profondità, alla sua capacità di raccontare una storia in grado di colpirci. Il videogioco, per certi versi, ha iniziato ad imitare, ed in molti casi superare, il cinema, con tagli di regia ed un comparto tecnico degni di nota. 

Non è un caso se titoli come The Last Of Us dalla trama molto semplice ed hollywoodiana, ma con la grandissima capacità di sapersi raccontare e mostrare nel verso giusto, abbiano scaldato il cuore dei videogiocatori; non è un caso se Red Dead Redemption, in particolar modo il secondo capitolo, abbia diviso in due il pubblico, con una narrazione lenta, posata, ricca di dettagli e di rituali, anche semplicemente per smontare da cavallo. Gli esempi sono molteplici, ma quello che ci interessa adesso è notare una certa tendenza, soprattutto nelle grandi produzioni, a concentrarsi sulla trama e sulla regia. Hellblade segue l’onda, ma lo fa in modo decisamente originale, annullando quasi completamente la prosa.

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Fonte: 2duerighe.com

Se Rockstar Games tira fuori dal cilindro un titolo estremamente prosaico, fatto appunto di rituali, di gesti, di piccoli dettagli, di storie che si intrecciano, si spiegano ed analizzano, Ninja Theory fa l’esatto contrario, nascondendo, gettando il giocatore nella morsa degli eventi e delle emozioni come se ne sapesse quanto Senua, come se fosse proprio Senua. 

La molteplicità delle voci, non solo quelle nella sua testa, quelle della psicosi, ma di un narratore assente e criptico, di un padre antagonista, di compagni di viaggio fatti di sguardi ed intese arcaiche, di quelle che non occorre stringere la mano per sancirle, ci portano in una dimensione in cui le cose non sono affatto spiegate, in cui non c’è una consecutio temporum lineare. 

Hellblade attraverso la lirica, la poesia, è in grado di narrarci una storia in cui sì cercheremo di mettere insieme i pezzi, ma farlo non è certo la cosa più importante. La sensazione di aver compreso, ma di essere smarriti al contempo vi accompagneranno per tutto il viaggio.

Il lirismo di Senua, oltre il simbolismo

Inevitabilmente il giocatore cercherà di comprendere sin da subito non soltanto le meccaniche di gioco, ma qualcosa in più della trama, gettati, termine chiave, in situazioni di cui non sappiamo praticamente nulla, ma che diventano immediatamente familiari. Non mi riferisco soltanto alle prime battute di gioco, naufraghi da chi e da cosa, ma a momenti in cui, complici le voci, capiremo e sentiremo senza che qualcuno ci dia spiegazioni

È negli occhi di Illtauga che comprendiamo immediatamente la tragedia della gigantessa che, soltanto in un secondo momento, ci viene mostrata nella sua crudeltà, tra visioni, sangue e combattimenti. Il suo sguardo è una richiesta di aiuto, un cuore che soffre, una storia che vorrebbe spiegarsi senza alcuna possibilità di farlo, senza parole e vocaboli e che soltanto la straordinaria capacità di Senua può risolvere e narrare. 

È nel duello finale con Alefir che la voce diventa un tutt’uno con quella del padre, diventando così un epico scontro non soltanto con un tiranno, ma con le proprie paure più profonde, quelle tenebre in grado di non far sorgere mai la luce nella mente di Senua, quelle che nei primi attimi di Senua’s Sacrifice ci schiacciavano.

Non soltanto simboli e metafore, ma una narrazione frammentata, in cui ogni scheggia colpisce lasciando un segno, ci accompagnerà in Hellblade. La comprensione logica è subordinata al vissuto emotivo e non di rado la nostra mente cercherà di capire, mentre invece si troverà a sentire il più delle volte. 

Hellblade fa suo il mondo del cinema, quello fatto di effetti speciali, rigettandolo e proponendo invece qualcosa che a stento un videogioco riesce a fare, diversificandosi in maniera se non unica quantomeno rara ed originale.

Le trame narrate senza subquest, meccaniche che ormai i videogiochi hanno imparato a digerire volentieri, si intersecano in Senua, eroina che fa del coraggio e della sensibilità la sua arma migliore. 

Hellblade 2 non è una killer app

Gli esempi riportati sono soltanto la punta di un iceberg decisamente più grande, ma sta al videogiocatore scoprire e vivere certe emozioni, soprattutto al termine della prima storia, sbloccando nuovi punti di vista dei personaggi. Senua’s Saga: Hellblade II è breve, ma allo stesso tempo straordinariamente lungo, perché pur non amando la rigiocabilità di questo genere di titoli, è in grado di prestare continuamente il fianco a nuove interpretazioni.

Da molti non è stato definito una killer app Microsoft e ne comprendiamo pienamente i motivi: non è un colossale Assassin’s Creed, oppure un grande live service in grado di sbancare trilioni di dollari, ma la domanda che il videogiocatore dovrebbe porsi è se davvero c’è ancora bisogno di questi titoli, o meglio, di un numero così costante, fisso, importante, due o tre volte l’anno. 

Non è preferibile seguire la via di Microsoft? Certamente è criticabilissima per la sua gestione degli Xbox Game Studios e per le sue campagne pubblicitarie, pompando titoli come Hellblade che non sono certo per tutti, ma è in grado di donarci queste piccole perle. 

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