Qualche giorno fa Capcom mostra al pubblico la sua nuova creatura: Resident Evil 8 Village. Il trailer ci porta immediatamente ad Ethan Winters e a tutto ciò che Resident Evil 7 ha saputo mostrarci lasciando spazio ad un commento eterogeneo da parte del pubblico.
I puristi, chiamiamoli così, da una parte, delusi per non avere di fronte un titolo “vecchio stampo”, mentre gli innovatori, passatemi anche qui il termine, pronti a vedere cosa saprà regalarci il nuovo capitolo.
C’è molta confusione invece tra chi tiene il piede tra due staffe, come il sottoscritto, che al lancio di Resident Evil 7 capì l’esigenza da parte di Capcom di stravolgere una saga che aveva dato tutto, come ci tengono a sottolineare Dario e Mattia nel nostro nuovo Altea Gamer Podcast, ma stringendo tra le mani un prodotto che non rispondeva alle esigenze che un Resident Evil sapeva accontentare.
Una saga nel tempo, pur mutando aspetto, mantiene delle caratteristiche che sfamano un certo tipo di appetito: acquistando il nuovo capitolo ci si aspetta qualcosa. L’aspettativa è ciò che rende cristallino un percorso videoludico e non solo, e quando viene disattesa, per questo o per l’altro motivo, si spezza un legame prezioso.
Con Resident Evil 7 ed ora con Resident Evil 8 potremo saziarci come si deve? Oppure dovremo gettare la spugna ed abbracciare un nuovo corso che potrebbe portare qualsiasi altro nome? La risposta a questa domanda è evidente dal percorso intrapreso da Capcom.
Il remake di due Resident Evil
Credete che Capcom non sappia cosa stia facendo? Vi sbagliate di grosso. Sa benissimo che la sete di un Resident Evil canonico, definiamolo così, è forte e sa anche come dissetarci a dovere.
Non è un caso se nello stesso periodo in cui si prepara a lanciare le sue due rivoluzioni in campo videoludico, stravolgendo una saga, introducendo il VR (non dimentichiamo mai questa cosa!), tira fuori dal cilindro due remake che non solo non fanno arrabbiare i puristi, tranne qualche rarissimo caso, ma li manda in visibilio.
Prende due dei titoli più amati dell’intera saga e ne fa quel che vuole, ascoltando la richiesta del pubblico, ma facendo anche di testa propria, creando due remake che salgono immediatamente sulla cresta dell’onda non soltanto delle vendite, ma anche dei trend topics dei vari social network. Non si può dire che Capcom non si ponga con personalità con Resident Evil!
È vero, con Resident Evil 3 Remake ha rischiato grosso, perché le critiche sono state dure per via di un Nemesis, secondo i detrattori, poco carismatico, per la durata del gioco breve che, in realtà, non solo è identica a quella dell’originale, ma rispetta la natura della tipologia del gioco, un survival horror portato allo stremo con tantissimi elementi action, e soprattutto la trama.
Fuggire da una bestia come il Nemesis in grado di fare, intercettare e diventare davvero ciò che vuole, ed evito di dilungarmi per non cadere nello spoiler, quanto tempo può richiedere prima di farci morire, eventualmente? O vita, o morte, ma in breve tempo.
La parentesi su Resident Evil 3 Remake, di cui si è ampiamente discusso, è stata necessaria non per difendere il titolo, anche perché de gustibus non est disputandum, ma per chiarire la politica di Capcom, attenta, meticolosa, ma sempre originale nel modo di presentarsi, senza piegarsi definitivamente alle logiche di mercato.
Perché Resident Evil 7 non è piaciuto?
Va chiarito anche questo punto: non è vero che non sia piaciuto. Ha diviso certamente il pubblico, ha fatto storcere il naso a molti, come al sottoscritto, ma è comunque un ottimo capitolo. Molti, pur riconoscendo la validità di Resident Evil 7, si interrogano su quanto ci sia effettivamente della saga.
Se il quarto capitolo ha portato tantissime novità rispetto alla trilogia originale, non solo nelle meccaniche di gioco, stravolte, ma anche nella trama, difficilmente si è sentito dire che non fosse un Resident Evil.
Cosa è accaduto, allora, con il settimo ed ottavo capitolo? Cerchiamo di dare uno sguardo veloce alle caratteristiche essenziali di questa saga, quelle che, forse, e sottolineo forse, sono state tradite dagli ultimi due arrivati.
1 – Survival Horror – Inventario
Resident Evil è un survival horror, il che significa che le immagini orrorifiche sono accompagnate da un senso di impotenza non necessariamente dovuto alla pochezza del protagonista, ma alla sfida da affrontare decisamente più elevata rispetto agli strumenti, alle capacità, al tempo a disposizione.
Questi elementi, mescolati tra loro, donano al videogiocatore un senso di prudenza, di paura di non farcela, che può tradursi in un’attenta esplorazione della villa, come nel primo, oppure in un corri-più-che-puoi come nel terzo.
La gestione dell’inventario è una caratteristica fondamentale, che vi porterà ad essere attenti, a rinunciare a qualcosa nel vostro cammino con enorme rammarico, a dosare le forze, ma soprattutto le munizioni.
Avrete sempre pochi colpi e sempre troppe creature da fronteggiare, che siano le strade larghe e generose di Raccoon City, o i corridoi stretti della stazione di polizia. La toponomastica in Resident Evil va studiata, va osservata la mappa e scelto il percorso prima di intraprenderlo. Quante volte prima di andare da A verso B avete creato l’itinerario perfetto ed incrociato le dita per non morire?
2 – Le creature
Sulle creature c’è davvero molto da dire, perché la saga si è evoluta e con esse l’immaginario orrorifico. Se nel primo capitolo ad essere iconico è il primo zombie che si volta di spalle, mostrando il suo volto sfigurato e la bocca vagamente sporca del banchetto dal quale lo abbiamo distratto, nel secondo capitolo ci sarà il Licker, una creatura orrenda, in grado di arrampicarsi sui muri, con la lingua in grado di perforarci il petto, grondante di sangue ed il cervello in bella vista.

Fonte immagine: igbd.com
A pochi anni di distanza la differenza è già netta, passando poi per il terzo capitolo, che ha più a che fare con il secondo, ma aggiungendo, in particolare, una bestiolina dal nome Nemesis che non sarà un boss finale, ma un compagno di viaggio.
Infine, se volessimo far terminare qui le macrodifferenze della saga in termini di creature, il quarto capitolo, in cui gli zombie, che non sono zombie, ma persone apparentemente normali, sono in grado di parlare, di aprire porte, utilizzare scale: vero forastero?
Cosa accomuna tutti i capitoli finora citati, se le differenze sono così marcate? La loro quantità. Siamo immersi costantemente in un contesto in cui, che sia una stanza chiusa, come nel primo, o un villaggio, come nel quarto, le vostre capacità sono sempre limitate ed affrontarli sarà spesso impossibile, nel senso letterale del termine. L’unica vostra possibilità, meno nel quarto, molto meno, sarà la fuga. Troppe creature per un singolo protagonista
3 – Trama
La trama di Resident Evil è piena di intrecci, spesso poco chiari, ma se dovessimo stendere una sinossi per un’eventuale libro sarebbe: L’Umbrella Corporation, azienda farmaceutica, studia e sviluppa, di nascosto, armi biologiche, ma qualcosa va storto ed i virus da loro progettati si diffondono nella popolazione. L’inferno dantesco si fa vivo ed i nostri eroi, gettati quasi casualmente sulla scena, dovranno farla franca.
Per circa venti anni siamo stati abituati agli stessi protagonisti ed antagonisti, abbiamo sviluppato simpatie ed antipatie, fazioni, chi sta dalla parte di Ada Wong, chi contro, chi ama Chris Redfield, chi gli preferisce Leon Scott Kennedy, chi odia Albert Wesker, chi vorrebbe i suoi occhiali. Nel quarto capitolo, pur essendoci nuovi antagonisti, l’Umbrella è sempre presente, così come i protagonisti positivi (il ritorno di Leon, ad esempio).
Resident Evil 7 e Resident Evil 8 Village?
Questi elementi, almeno per quanto riguarda il settimo capitolo, visto che dell’ottavo abbiamo soltanto un trailer ed un accenno della trama che mostra anche racconti ed immagini fantasy che a stento sono riuscito a comprendere, forse vengono a mancare.
Nel settimo capitolo le critiche più accese sono state dovute dalla visuale in prima persona, dal protagonista che non è un vero eroe, ma pochi hanno cercato di analizzare più a fondo la questione.
Sviluppare un gioco in prima persona, o in terza, non pregiudica l’esperienza di gioco che, in questo caso, anzi, è pensata per il VR. Giocare il nuovo capitolo con il “caschetto” è un’esperienza che vi auguro di provare.
Il problema nasce laddove il casco è assente, e si avverte immediatamente un senso di castrazione: i numerosi jumpscare non hanno quasi significato.
Il fatto che Ethan Winters non sia un eroe non dovrebbe costituire un problema: Leon era uno scolaretto prima di diventare uno dei personaggi più importanti della saga, e Jill Valentine, pur essendo una STARS, nel terzo capitolo ha pensato solo ed unicamente a fuggire, pur affrontando con coraggio i pericoli e comportandosi in numerose occasioni da eroina. Se quella metropolitana fosse partita prima non avremmo avuto Resident Evil 3 e Raccoon City sarebbe comunque stata rasa al suolo.
Probabilmente ciò che ha spiazzato i videogiocatori è stata la sensazione di non avere più nulla a che fare con un virus prodotto in laboratorio, almeno nella prima parte del gioco, oppure la costante fuga non da creature orrende e sanguinanti, ma da una famiglia si inquietante e repellente, ma gestibile attraverso un costante hide and seek. Ecco, forse nei precedenti capitoli abbiamo gestito qualsiasi cosa, senza lasciare nulla al caso, ma non ci siamo mai nascosti (anche se la dark room ce la ricordiamo tutti).
È una fuga diversa quella di Ethan, molto più lenta e riflessiva e quasi troppo spesso generata da pochi protagonisti, con la capacità davvero di nascondersi dietro un mobile, assente nei precedenti capitoli. Mi viene in mente l’ottimo titolo italiano Remothered: Tormented Fathers, in cui l’obiettivo è quello di indagare, nascondendosi ed aguzzando l’ingegno, esplorando e fuggendo.
Forse ciò che manca è il senso di impotenza, perché in fondo il vostro itinerario non dovrà essere organizzato per evitare orde di zombie, e non vi interesserà molto delle munizioni che avrete nel caricatore. Non mancano certamente l’azione, le “scazzottate”, e le numerose creature, ma anche qui la loro natura è diversa, perché ad esserlo è l’ambiente e i suoi protagonisti.
Aldilà delle critiche dei puristi, che lasciano il tempo che trovano, perché alcuni vorrebbero addirittura quelle pessime telecamere fisse della prima trilogia, il settimo capitolo ha tanto di differente l’atmosfera. Ripeto, è davvero forte l’esigenza del VR per goderselo appieno.
Capcom ha cercato non tanto di reinventarsi, perché non c’è nulla di nuovo rispetto ad altri giochi, ma di fare una sorta di reboot della sua saga, sfruttando la tecnologia VR per creare il nuovo riferimento horror in campo videoludico. E ci è riuscita, pur disattendendo le aspettative di chi, per venti anni, ha avuto sete di determinate caratteristiche e storie.
Resident Evil 8, anzi VIIlage
La tentazione, guardando il trailer, è quella di chiamarlo Village, e non VIIlage, giocando con i numeri romani e ponendo in bella mostra il fatto che sia l’ottavo capitolo. Invece, per coerenza con il 7 e con quella sorta di reboot che ho appena citato, è chiaro che questa ormai sia la strada intrapresa da Capcom per Resident Evil. Nelle mie parole c’è chiaramente un po’ di rammarico, ma prima di depennare un gioco dalla lista, per gusti personali e non oggettivi che, chi è giornalista deve tener conto, dobbiamo attendere il 2021. La speranza è quella di introdurre alcuni elementi dei precedenti capitoli e di pensare il gioco meno per il VR, pur mantenendo la prima persona (le due cose sono profondamente differenti)