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Perché si chiama Animal Crossing?

Immagine prelevata da nintendo.it

Voglio raccontarvi di come Animal Crossing sia stato in grado di catturarmi, nonostante il mio iniziale scetticismo e cosa si nasconde dietro il suo nome. Ma soprattutto il motivo per cui, dopo 15 anni, non vedo l’ora di mettere le zampe sul nuovissimo Animal Crossing New Horizons.

Era il lontano 2005 e leggevo su internet di un gioco in cui si poteva personalizzare al massimo il proprio personaggio, il proprio villaggio, attraverso moltissime mini-quest, il tutto in pieno stile nipponico.

I riferimenti al Giappone erano moltissimi, e tutto aveva tranne che un aspetto occidentale. Ricordo che una caratteristica che mi colpì parecchio era la possibilità di acquistare dei videogiochi e collezionarli. Non avevo capito fino in fondo cosa mi riservasse questo titolo e, un po’ alla cieca, decisi di comprarlo. Non ci fu alcuna campagna pubblicitaria, in Italia ovviamente, e timidamente si introdusse in Europa e pian piano nel mio cuore.

Un gioco per bambini

Ricordo che arrivò il corriere a consegnarmi il pacchetto, perché, nel 2005, ad avere il Gamecube eravamo io e altri quattro in Italia. Ora, se abitate a Milano probabilmente eravate così fortunati da trovare i videogiochi per Gamecube negli scaffali dei negozi, ma, chi abita come me in provincia, era visto come un alieno dai commessi: c’erano soltanto videogiochi per PS2 e, al massimo, Xbox.

Insomma mi arriva questo pacchetto, lo scarto, ed inserisco il disco. Inizio a vedere animaletti colorati, simpatici, teneri, che parlano un linguaggio incomprensibile. Il mio personaggio si ritrova in un taxi a parlare con un gatto, l’autista con tanto di cappello, di nome Girolamo, che inizia a farmi domande su dove sono diretto, come mi chiamo e altre informazioni personali. Inizio a farmi qualche domanda esistenziale del tipo: ma ho davvero speso i soldi per questo coso?

Il timore di aver preso una fregatura inizia a farsi sentire. Dopo questo dialogo con un animale alla guida scendo e arrivo in una città che sembra tirata fuori da una fiaba giapponese: c’è tanta natura, le case sono colorate, ci sono alberi da frutto e tutti, o quasi, sono gentili, finché non arriva un certo Tom Nook che mi fa sentire a casa.

Gentile, simpatico, ma anche scaltro ed interessato agli affari: finalmente un po’ di Occidente. Mi propone di vivere in una bettola e di pagargli una cifra che, inizialmente, mi sembra esorbitante, ma è così buono da chiedermi di lavorare per lui, così da iniziare subito ad estinguere il mutuo: Tom Nook è una sorta di Padrino.

Il lavoro è semplice e mi chiede di portare ad un certo abitante l’ordine che ha effettuato, perché dovete sapere che tutto il denaro è gestito da Tom, quindi si va dai mutui, ai prestiti, all’unico negozio presente in tutto il villaggio: ribadisco, è il Padrino. In questo modo inizio a conoscere gli abitanti, ma dentro di me sale ancora la puzza della fregatura, perché non potevo credere di aver acquistato un gioco in cui, in sostanza, il mio compito è fare il corriere (vero Death Stranding?).

Decido di dargli qualche altra ora di gioco e cosa scopro? Che è un gioco fantastico. In pratica questa storia del prestito-mutuo-lavoro è solo una scusa per farti conoscere le meccaniche del gioco, ma soprattutto gli abitanti che sono la chiave di tutto il capitolo. E ora vi spiego perché

Non è un gioco per bambini

Innanzitutto resto colpito da una cosa: nel 2005 un gioco che sfrutta l’orario reale. Questo significa che le commissioni che dovrete fare, spesso, dovranno rispettare un orario, significa che il negozio è aperto soltanto in una fascia oraria precisa. Può sembrare stressante, ma in realtà rende il gioco unico, e, ripeto, nel 2005 non era una cosa che si vedeva tutti i giorni.

Orologio non significa soltanto orario, ma anche stagioni, per cui quando da noi sarà primavera anche lì lo sarà e le differenze tra una stagione e l’altra sono moltissime. Natale è soltanto a Dicembre, la neve c’è soltanto l’inverno, ma soprattutto alcuni pesci ci saranno soltanto in determinati orari e stagioni. Iniziate a capire che questo non è un gioco per bambini, perché ha in sé una certa logica da rispettare. È un gioco che si propone di accompagnarvi tutto l’anno, perché alcune cose si potranno fare solo in alcuni momenti. Altra caratteristica che mi colpì subito fu la possibilità di pescare, quindi catalogare, e poi vendere pesci per racimolare stelline (la valuta locale), oppure donare al museo. Infatti in città c’è un museo che, se completato, darà alcuni vantaggi.

L’allestimento della casa è fondamentale, perché, pagando il mutuo, diventerà sempre più grande e seguirà le regole del Feng-Shui, che è un po’ difficile da spiegare in questa sede, ma si tratta di un tipo di architettura antica cinese, secondo cui una certa disposizione dei mobili, in base ad esempio al colore, può portare fortuna, soldi, salute. Se l’allestimento è consono riceveremo un punteggio alto dall’ABC un’accademia che si occupa di valutare le case del villaggio. Sto cercando di descrivervi Animal Crossing, ma, fidatevi è impossibile e per questo mi limiterò ad elencarvi soltanto altre due caratteristiche che lo rendono unico.

Nella versione per Gamecube mancava una connessione ad internet, ma attraverso un sistema di codici era possibile scambiare oggetti, frutta, fossili con una persona distante. In pratica si andava in un posto si scriveva a chi si voleva inviare l’oggetto e veniva generato un codice. L’altra persona lo inseriva e magicamente riceveva il nostro dono. In realtà non è nulla di magico, ma rispetta delle leggi ben precise: in pratica a voi viene cancellato l’oggetto e a lui, attraverso un sistema di codici interno, viene rigenerato alla stessa maniera. Ma è geniale e crea un collegamento con una persona dall’altra parte del mondo anche senza Internet. Di certo i forum, nel 2005, non mancavano per accordarsi!

Perché si chiama Animal Crossing?

Questa caratteristica è l’ultima, ma è la più importante, perché nasconde un messaggio importante che un occhio poco attento può perdere, essendo preso da allestimenti, pesca, gare di nascondino. Perché si chiama Animal Crossing? Perché gli abitanti del nostro villaggio non saranno sempre gli stessi: sono dei crosser. Crossing vuol dire attraversamento, navigazione, incrocio, ed è il termine che sta alla base del gioco.

Il suo significato è quello di spingerci a conoscere l’altro, ad interagire con lui, a scoprirne le differenze, il carattere, la sua storia, a viaggiare. Le lettere che voi scriverete ai vostri abitanti saranno portate per sempre con loro e, nella versione per Nintendo DS, che prevedeva una connessione online, queste saranno lette probabilmente da un altro giocatore dall’altra parte del mondo. Uno dei vostri vicini domani potrebbe essere il vicino di un Giapponese e raccontare di voi, di un regalo che gli avete inviato o di un saluto che gli avete insegnato. Un gioco semplice, apparentemente stupido, che nasconde invece un grande valore umanitario e che nessun altro gioco è in grado di fare così sapientemente.

Sembra assurdo, ma si crea un legame con un animaletto informatico che ti fa capire quanto sia importante, in una società che tende ad estraniare le persone, ascoltare ed interessarsi dell’altro. Insegna anche a fidarci un po’ di più di chi ci sta intorno, perché essere gentili e dare una mano sono dei valori che stanno in piedi con difficoltà. Insomma, chiunque definisca Animal Crossing un gioco per bambini, nonostante la grafica carina e coccolosa, non ha capito nulla del suo vero spirito che, per carità, può non piacere, ma non può essere catalogato come un classico simulatore di vita in cui devi spazzolare un cavallo e ricevere in cambio cuoricini. C’è molto di più, fidatevi.

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