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Elémire Zolla: nelle profondità della Tradizione

La metafisica come intuizione intellettuale. Comprendere ciò che supera l’apparenza materiale per raggiungere le profondità, il confine estremo dell’esistente, il sollevare le palpebre sulle quali pesa il sonno delle forme quotidiane. Che cos’è la tradizione di Elemire Zolla, ripubblicato da Marsilio dopo la prima edizione del 1971 rappresenta una testimonianza critica di un pensatore in grado di elaborare in modo sistemico una conoscenza stratificata e complessa.

Se lo stesso Zola giudicherà con sfumature negative l’eccessivo manicheismo della sua opera, la sua scrittura ci conduce alle fondamenta delle crepe della società occidentale, un mondo disincantato, dimentico della pluralità delle dimensioni dell’uomo in favore del solo assolutismo della scienza e della tecnica.  Come evidenziato nell’introduzione all’antologia I mistici dell’Occidente, Zola si fa portavoce di una concezione che vede condizione normativa dell’esistenza lo stato mistico, elemento che riemerge nel concetto stesso di Tradizione.

La predominanza della triade corpo-psiche-ragione evidenzia, secondo Zola, il denso adombramento della dimensione dello Spirito del mondo contemporaneo. Per tale ragione rispetto alla teologia, volutamente mascherata da libertà priva di idolo, della tecnica come fine, riemerge con forza la raffinatezza di un sapere mistico delle tradizioni cultuali orientali e primitive, svincolate dalle teorie e dai pregiudizi dell’unilinearismo dello sviluppo della modernità, nonché di un misticismo cristiano in grado di porsi in opposizione ad una dissoluzione nichilistica priva di freni.

La trasmissione, intesa come percorso, verso la consapevolezza dell’esistenza dell’essere nella sua perfezione massima rappresenta per Zola la tradizione primigenia autentica, superiore alle altre in quanto logicamente anteriore, centrale come il punto rispetto allo spazio. La concezione della mobilità assoluta dell’essere, privo dunque di una effettiva centralità, rappresenta la manifestazione di uno storicismo che legge l’uomo solo come mero epifenomeno sociale, aprendo le soglie ad un relativismo esiziale.

La concezione puramente sociale dell’uomo conduce all’altro grande mito distruttivo della contemporaneità quello dell’uguaglianza. Interpretando l’uomo come prodotto collettivo, come entità sociale, come spiega Zolla, la visione della contemporaneità si è basata su leggi auto-fondative gradualmente fuggite verso la materialità storica. 



Cogliendo invece l’individuo nella sua unicità spirituale, si delinea l’infondatezza di tale pretesa uguaglianza, poiché lo stato di profondità del percorso meditativo, la sua capacità di raggiungere le vertigini dello spirito divengono elementi diversificati e diversificanti, rigettando la dissoluzione conformistica contemporanea.

Come spiega Zolla, la stessa scienza diveniva per le popolazioni ancora guidate da una consapevolezza spirituale un mezzo di perfezione, una cammino di conoscenza simbolica in grado di illuminare l’animo di coloro che si ponevano sulla strada della Tradizione.

Tale processo di esaltazione della funzionalità scientifica riemerge in modo chiaro nella decadenza dell’estetica artistica e architettonica. Perso il senso del centro dell’Essere, tali declinazioni dello spirito hanno subito un processo di inaridimento. Le città sono divenute in tal modo masnade di edifici in cui l’elemento della bellezza e dell’armonia ha lasciato spazio al proliferare di giungle di cemento. La biblioteca di Celso di Efeso si staglia alta e vittoriosa sui complessi abbrutiti dell’architettura contemporanea.

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