Nazismo e management, liberi di obbedire. Recensione del saggio di Johann Chapoutot, tradotto ed edito da Einaudi
Esiste un legame tra nazismo e New Public Management, adottato nelle amministrazioni pubbliche a partire dagli anni Ottanta e perfezionato fino ai nuovi metodi dirigenziali attuali? Apparentemente non potrebbero esserci termini così antitetici e distanti tra loro; tuttavia il nuovo saggio di Johann Chapoutot, Professore di Storia contemporanea all’Université Paris-Sorbonne e acuto autore di numerosi volumi dedicati al nazismo, dimostra esattamente il contrario.
La scienza economica e la gestione d’impresa durante il nazismo
In Nazismo e management, liberi di obbedire (edito quest’anno da Einaudi dall’originale francese Libres d’obéir. Le management, du nazisme à aujourd’hui, edito da Gallimard) l’autore rivoluziona la storiografia e la scienza economica durante e dopo il nazismo attraverso la storia di Reinhard Höhn (1904-2000). Ufficiale superiore e poi generale delle SS, ma soprattutto fine studioso con un dottorato in diritto, è considerato il prototipo dell’intellettuale tecnocrate al servizio del Reich. Sottratto, come molti, alla denazificazione, nel dopoguerra fondò un istituto di management (il Bad Harzburg Management Institute, con una modernissima tecnica di insegnamento a distanza) e mise a punto una metodologia che oggi chiameremmo “project management”, forgiando una parte sostanziale della dirigenza aziendale tedesca.
Le sue radici metodologiche si fondano tuttavia negli anni trenta, quando le sue idee intrise di fordismo e taylorismo fornirono la base concettuale per la riorganizzazione del sistema tedesco del Terzo Reich. Cavalcando l’insoddisfazione dei “super-diplomati” della Germania pre-Hitleriana (possessori di un titolo universitario o dottorato) senza alcuna prospettiva di impiego reale nel mercato del lavoro, il partito nazionalsocialista offrì a queste personalità carriere di alti funzionari nei quadri dirigenziali del partito prima e delle organizzazioni governative e militari dopo, così come negli organi di stampa e di propaganda. Tra questi, Höhn mette a punto una metodica che scardina il reclutamento delle risorse umane e la gestione d’équipe: quando la maggior parte delle forze lavorative sono impiegate per portare avanti la macchina della guerra, come è possibile lavorare di più e con meno persone? A questo interrogativo Chapoutot risponde con brillante precisione, dimostrando come il sistema di Höhn è incentrato sul miglioramento della qualità della vita del lavoratore (che fa rima con il darwinismo eugenetico razziale caro al nazismo); sulla decentralizzazione della burocrazia, nella convinzione che lo Stato è etimologicamente inerte (statico, appunto); sull’illusoria soddisfazione emotiva e psicologica del dipendente, che aderisce con più stimolo ad un management gratificante e protettore (nel caso specifico, ai dettami del Reich). Tra riflessioni economiche, ergonomiche ed estetiche, la vita dell’impiegato è scandita da rituali che sono di grande attualità: la ricerca del benessere a tutti i costi, attraverso un massiccio uso di “espedienti performativi” (medicine, omeopatia, stupefacenti) per migliorare la qualità delle prestazioni; o, ancora, l’idea che il manager possa instaurare con i propri collaboratori un rapporto di fiducia tale da “delegare la responsabilità” di scegliere come portare a termine progetti di successo. Elemento, quest’ultimo, che può trasformarsi e ritorcersi nell’iper-controllo e nella contraddittoria e inquietante libertà di obbedire.
Se abbiamo conosciuto il nazismo esoterico ed occulto delle opere Blitzed (di Norman Ohler, 2015) e dello storico e memorabile Le matin des magiciens (dei filosofi Jacques Bergier e Louis Pauwels, 1960), il recente saggio di Chapoutot, senza induzioni apologetiche della dittatura, conduce il lettore, attraverso otto capitoli straordinariamente scorrevoli, nella scienza ossimoricamente imprecisa della gestione d’impresa e della realizzazione personale e professionale della “risorsa umana”.