Chiede subito al pubblico di attivarsi per leggere un opuscolo ricevuto all’entrata, Francesco Alberici che scrive e dirige Bidibibodibiboo al Piccolo Teatro di Milano, sempre attento alla società in divenire.
Concede cinque minuti per farlo e, per mettere un po’ più di pressione, attiva un grande cronometro digitale che comincia inesorabile il suo conto alla rovescia.
Lo spettacolo, in scena sino al 3 marzo 2024, racconta infatti in modo originale come l’idea del tempo sia definita da commistioni continue tra percezione soggettive e dinamiche intersoggettive. E come queste siano modellate, oggi più che mai, dalla tecnologia che a sua volta plasma la società.
Bidibibodibiboo: il nucleo narrativo quindi, partendo dall’idea del tempo si dirama in diverse tematiche.
Centrale è forse quella del trinomio tempo-lavoro-sogni annunciato dalle note del valzer 2 opera 64 a tempo ternario di Chopin.
Scritto in pandemia, dove la sospensione del tempo dava valore solo a quello lavorativo, e quindi si esisteva solo lavorando, intende raccontare la storia di un giovane laureato che, spinto da una società performativa dopo la laurea in economia o in statistica, abbandona il sogno del conservatorio e sceglie il posto sicuro, in banca o in una multinazionale.
La poca precisione non è dovuta a smemoratezza della scrivente quanto ad un gioco volutamente confuso di scambi e sovrapposizioni che rimandano ad una “intercambiabilità sociale” diffusa.
Il giovane laureato, che inizialmente è il fratello, poi l’autore stesso, e che infine può essere qualsiasi altro giovane, viene mobbizzato sul lavoro, sottoposto alla pressione di una fantomatica “performance” ed infine licenziato da una azienda che vende fiori, ma potrebbe per esempio anche vendere pacchi. Ciò che è certo è che “fà il pacco” ai giovani che non si adeguano.
E di pacchi giganteschi il palco è pieno. Ne escono oggetti di scena o altri attori bravissimi che come coordinate geografiche fotografano l’attuale mondo del lavoro.
Francesco Alberici con ironia, delicatezza e incisività lo tratteggia. Accompagnato in scena da Maria Ariis, Salvatore Aronica, Andrea Narsi, Daniele Turconi, Carlo Solinas (20 febbraio), Ario Sgroi (21 febbraio – 3 marzo).
È un mondo inizialmente seducente, quasi materno. Usa parole di inclusività, organizza momenti di incontri, giochi societari tra i collaboratori. Incanta con parole come Work Life Balance, Work Life Blending.
La realtà è che nasconde una rigida struttura a caste, necessaria a preservare un modello societario piramidale dove l’economia diventa principio fondamentale della nostra esistenza basata su paradigmi di efficienza, competizione, “scarsità”.
Gli scarsi, vengono scartati, con conseguenze psicofisiche e stigma di vergogna e fallimento che si imprimono dentro di loro.
Lungi dall’inclusività quindi, i colleghi si fanno censori, delatori. Si lotta per accaparrarsi un avanzamento di carriera che comporta l’esclusione del collega, ci si prostra, “vil schiatta di servi”, davanti al capo.
Una sorta di darwinismo aziendale, che da violenza sottile e latente sul lavoro, diventa forma di vita, cultura e finisce con infettare l’intera esistenza. Aprendo così la strada ad un nuovo disumanesimo che consuma un capitale spirituale, un patrimonio di capacità relazionali, di valori, di diritti sedimentatosi nei secoli.
L’accelerazione del neoliberalismo ha trasformato il (post)capitalismo in religione secolarizzata. Che ha i suoi dogmi come meritocrazia, performance, incentivo, necessari solo a giustificare eticamente la disuguaglianza.
Bidibibodibiboo che pone anche il tema dell’incidenza dell’arte sulla realtà, si fa così monito: il darwinismo sociale consuma un capitale spirituale, un patrimonio di capacità relazionali, di valori, di diritti sedimentatosi nei secoli. Apre la strada cioè, a un disumanesimo.
La scena di Bidibibodibiboo – a firma dello scenografo spezzino Alessandro Ratti – trae ispirazione dall’immaginario dell’artista visivo Maurizio Cattelan, riproducendo un classico interno di una cucina anni Cinquanta – illuminata dal light designer Daniele Passeri.
La produzione è di SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione, in coproduzione con Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Ente Autonomo Teatro Stabile di Bolzano. Con il sostegno di La Corte Ospitale.