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Pigmalione: cinica perversione, paradiso di cartapesta

Gioca con i sensi e con i doppi sensi Pigmalione, in scena dal 27 al 30 giugno 2023 al Teatro Elfo Puccini di Milano. Gioca con gli innumerevoli registri narrativi che il suo ego e la sua arte, fare film, offrono e moltiplicano. Con grassezza e magrezza, con velocità e lentezza, con cinema muto e sonoro, mitologia e realtà.

Prova persino a giocare con la Storia Pigmalione. E con la morte. Davanti a questa si ferma, esita. Poi però si vede obbligato a giocare, filmandola, anche con lei, con quella della moglie, dei genitori, delle circa quarantamila comparse, perchè altrimenti morirebbe subito. Quindi riprende, con la sua macchina da presa, con l’illusione che tutto si possa trasformare filmando, basta solo trovare un finale felice.

Non si capisce da subito il disegno architettonico di Pigmalione, sapientemente tracciato da Eco di Fondo.

Si resta magnetizzati dalla recitazione di Giacomo Ferraù, che firma regia e drammaturgia con Giulia Viana. Lui è da solo sul palco anche se un altro attore, che pure resta muto e sembra avere un ruolo solo di comparsa, a tratti lo limita, lo intralcia, lo azzittisce.

Ferraù ci trasporta inizialmente in un mondo strano e apparentemente lontano, vagamente ridicolo proprio come lui, che sembra una palla di grasso con esuberanze egocentriche nella bella impalcatura ideata da Claudia Groppa.

Ci racconta di essere un regista e di essere affetto, come molti colleghi, dal bacillus cinematographicus, la convinzione cioè di poter trasformare la realtà con 24 fotogrammi al secondo. Alle sue spalle, con filmati in bianco e nero scelti da Lorenzo Crippa, sfila la Berlino degli anni venti e trenta, le grandi riviste, i teatri, la grande era del cinema muto tedesco (UFA).

Anche gli orrori più disumani, ci dice, se filtrati dalla cinepresa, possono diventare documentari ottimistici quando provvisti di lieto fine.

E lui lo dimostrerà. È stato infatti incaricato di fare un bel film a lieto fine, con balletti e musica yddish. Probabilmente non lo vedrà finito, anzi non lo monterà neanche lui.

Sembra che, nel raccontarcelo, si diverta dei paradossi della ragione e dell’arte grazie alla quale, tutto si può inscenare. Proprio come fece lo scultore Pigmalione con la sua statua d’avorio.

Poi però pronuncia un nome: Terezin.

E in quello stesso istante l’alone fantastico venato da cabaret, da mimo di cinema muto, si infrange in un attimo per diventare una lente nuova attraverso cui guardare la realtà perversa ed orrida dei lager nazisti.

Theresienstadt o Terezin a circa 80km da Praga, è la fortezza fatta costruire da Francesco Giuseppe II intorno al 1780 e dedicata alla madre Maria Teresa, per arginare la minaccia prussiana. Al suo interno, una cittadella a forma di stella avrebbe dovuto essere inespugnabile.

Durante il nazismo diventa un “perverso” campo a stella di concentramento dove sono transitati più di 155000 prigionieri molti dei quali artisti rinomati e bambini, andati poi a morire “ad est” nelle camere a gas.

E il nostro Pigmalione altri non è che Kurt Gerron, all’anagrafe Kurt Gerson, nato a Berlino l’11 maggio 1897 da una famiglia ebrea della media borghese. Egocentrico, vanitoso e altezzoso è dagli anni venti, un attore, regista e cabarettista di fama internazionale che lavora con Bertolt Brecht e Marlene Dietrich,

Concentrato sulla sua arte, non capisce la gravità del nazismo al punto da rifiutare le occasioni di emigrare.

Arrivato a Terezin, dove gli orrori non sono dissimili da quelli di altri campi di concentramento malgrado sia considerata la città degli artisti, viene obbligato, con la promessa di restare in vita, a girare un film documentario sulla vita bucolica degli internati.

Una farsa, voluta dai nazisti per illudere il mondo intero dell’inesistenza dei forni crematori e per aizzare ancor più il popolo tedesco sofferente per la guerra che sta perdendo, contro gli ebrei.

Il dramma dell’artista allora deflagra: cosa diventa l’arte, quella che è stata la sua ragione di vita quando asservita al potere? In questa mercificazione diventa il trionfo paradossale di narcisismo e onanismo, celebrazione di inganno in quanto la finzione stessa diventa realtà, sostituendosi alla verità del reale.

Lui, la moglie, i suoi genitori e le quarantamila comparse finiranno nelle camere a gas.

Si dice che il titolo del film mai proiettato, avrebbe dovuto essere Il Führer regala una città agli ebrei, che è poi quello del bellissimo libro di Charles Lewinsky che ha un ritmo molto simile a quello dello spettacolo. In realtà, è più probabile che ne abbia avuto uno più neutro: Theresienstadt. Documentario da un insediamento ebraico.

Anche il film Prigioniero del Paradiso (candidato all’Oscar nel 2003) racconta di Kurt Gerron e di Theresienstadt.

Pigmalione

con: Giacomo Ferraù

regia e drammaturgia: Giacomo Ferraù e Giulia Viana

disegno luci: Giuliano Almerighi

allestimento audiovisivo: Lorenzo Crippa

produzione Eco di fondo

PRODUZIONE

Edo di fondo

CON IL SOSTEGNO DI

Fondazione Claudia Lombardi per il teatro

GRAZIE A 

Teatro dell’Elfo e Campo Teatrale per l’ospitalità | Simone Faloppa per la consulenza cinematografica | Chiara Ameglio per la consulenza coreografica | Claudia Groppa per il costume | Umberto Terruso

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