Una plusvalenza è un ricavo non monetario della società cedente, utile ai fini del fair play finanziario e degli indicatori di bilancio nazionali ed internazionali
Questa definizione ronza un po’ nella testa di tutti gli appassionati di calcio da qualche anno a questa parte, soprattutto negli anni 10’ con l’introduzione del fair play finanziario da parte della UEFA.
Il fair play è quel sistema in grado di monitorare la sanità dei bilanci di una società, per evitare la monopolizzazione e la corruzione del sistema calcistico, almeno sulla carta. Qualora fossero trasgredite alcune regole e parametri assisteremmo a numerose penalizzazioni non solo economiche, ma anche sportive, come l’esclusione dai campionati internazionali.
È per questo che assistiamo a chiusure di sessioni di mercato individuali, manovre di acquisto e cessione del cartellino di un giocatore complesse, come nel caso del controverso e ormai noto passaggio di Neymar dal Barcellona al PSG nel 2017.
Per tenere in ordine questi conti, tra le tantissime operazioni che un club può attuare, c’è sicuramente il player trading, in grado di generare numeri importanti in un lasso di tempo relativamente breve: si compra e si vende di continuo sperando nelle plusvalenze.
Cos’è una plusvalenza?
Ogni volta che si acquista un giocatore si iscrive come elemento patrimoniale di un club (una proprietà, al pari di uno stadio, per intenderci). Il costo del cartellino viene ripartito lungo la durata del contratto, quindi se un giocatore viene pagato 100 e firma un contratto di 4 anni, costerà alla società 25 l’anno e verrà inserito nella voce “ammortamenti”. Allo scadere del contratto il giocatore sarà libero di svincolarsi, qualora non fosse ceduto, lasciando il club senza alcun bonus/malus. Se invece fosse ceduto prima?
Mettendo da parte il ricavo monetario si instaura così un gioco di scambi tra società importante ai fini del fair play da poco descritto. Ciò significa che se dovessi cedere il giocatore pagato 100 al secondo anno di contratto per una cifra di 200 io avrò generato una plusvalenza di 150: al prezzo della sua cessione sottraggo il valore contabile (ossia 50, calcolando i due anni di ammortamento), quindi 200 – 50 fa 150.
In questo modo, agli occhi del fair play, la società cedente avrà dimostrato di essere in grado di far crescere la propria società. L’obiettivo della UEFA era quello di impedire che la moneta sopperisse in breve tempo alle mancanze di un club in termini di investimenti in infrastrutture, settori giovanili, crescita del proprio organico: volevano evitare che il milionario di turno mettesse su una squadra competitiva in un paio di anni snaturando il gioco, ma soprattutto mettendo in pericolo interessi economici (si pensi ai semplici premi di qualificazione UEFA o ai diritti televisivi)
Il problema dove sta? Il caso Juventus
Il problema sta nel fatto che il calcio dipende da tantissimi fattori ed è legato ad eventi sportivi che possono cambiare di molto lo scenario di un club: la qualificazione alla Champion’s League all’ultima giornata può significare la sopravvivenza di un progetto o meno.
È per questo che molte squadre cercano di trarre il massimo dalle plusvalenze, così da poter investire a livello monetario in maniera importante e risanare subito la situazione. Se il bilancio con la UEFA non dovesse essere dei migliori, allora la società non potrebbe intervenire.
Trarre il massimo dalle plusvalenze non va letto soltanto come un movimento onesto e pulito, ma anche come conti gonfiati in accordo con la società acquirente, giovani che con un paio di gol e presenze nella massima serie finiscono per valere milioni di euro con la conseguente mancanza di possibilità per tali giovani di circolare sul mercato (se un giocatore valesse 25 a 100 sarebbe fuori mercato).
Barcellona, Atletico Madrid, Manchester City, Paris Saint Germain, ma anche squadre più piccole come Chievo e Cittadella sono finite spesso nel mirino della UEFA con pene più o meno giuste e severe. Gli occhi ora sono puntati sulla Juventus che sembrerebbe aver violato diverse regole e parametri.

Pogba: 72,6 milioni di plusvalenza
È per questo che con l’indagine Prisma “I finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria Torino, delegati alle indagini, sono stati incaricati di reperire documentazione ed altri elementi utili relativi ai bilanci societari approvati negli anni dal 2019 al 2021, con riferimento sia alle compravendite di diritti alle prestazioni sportive dei giocatori, sia alla regolare formazione dei bilanci. Allo stato, le attività sono volte all’accertamento di ipotesi di reato di false comunicazioni delle società quotate ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, nei confronti del vertice societario e dei direttori delle aree business, financial e gestione sportiva” (Estratto del comunicato ufficiale della Procura di Torino)
In particolare sembrerebbe che dietro l’operazione Cristiano Ronaldo al Manchester United ci sia qualcosa di poco chiaro. Le intercettazioni parlano di una “famosa carta che non dovrebbe esistere teoricamente” e che aggiunge ombre ad una situazione che vedrebbe coinvolte circa 42 operazioni.
La Superlega
Il fair play finanziario nei suoi intenti è certamente un sistema nobile, ma nella pratica genera numerose insidie che i club tentano di aggirare in modo ancor meno pulito di quella che era la situazione prima del 2009, anno della sua introduzione.
La Superlega è stato un tentativo per dare un segnale, a prescindere da quale sia la considerazione personale di ognuno di noi al riguardo, per scuotere un ambiente palesemente in difficoltà. I club vanno troppo di fretta, sono legati al risultato e la moneta è la via più breve per sanare le casse o intervenire sul mercato, ma il fair play in un certo senso li limita nel breve periodo.
Se l’idea della Superlega è naufragata prima ancora di iniziare la sua avventura, quali saranno le soluzioni che prenderanno i club per fronteggiare gli ostacoli presenti e futuri, soprattutto dopo una pandemia che non vuole saperne di finire?