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Chavela Vargas: l’iconica voce della ranchera e la vita ribelle

Qualche giorno fa i nostri amici della casa editrice “edizioni-nottetempo”, pubblicano sulla loro pagina Instagram un libro in uscita: Viva, di Patrick Deville. Nel loro post, oltre che mettere l’acquolina in bocca (perché sì alcuni libri mettono l’acquolina) come un vero e proprio burrito, accennano alla trama della lettura, ma soprattutto rievocano un’epoca indimenticabile in un paese che volendogli rubare le parole “non assomiglia a nessun’altro paese”. 

Sono gli anni Trenta del Novecento, un momento in cui le vicende di Frida Khalo si intrecciano con quelle di Diego Rivera, Trockij, Breton, Tina Modotti, Majakovskij, Traven, Caravan e molti altri; in uno straordinario Messico in fiamme per la ribellione, la poesia e il fermento di cambiare. Ma non c’è storia senza musica e solo Chavela Vargas potette dare colonna sonora a tutta questa vita. Commentai, infatti, sotto il post del libro con testuali parole: “e tutto questo sotto le note della Vargas”. 

In quel momento ho pensato che sarebbe stato giusto scrivere qualcosa sulla sua vita, su di lei, sulla sua musica. Una vita incredibile. Incendiaria. Chavela Vargas è stata una leggenda nel senso letterario della parola. Scappò dal Costa Rica a diciassette anni, quando sia il padre che la madre non la vollero più dopo la separazione. Guarita da una poliomielite, treccia legata e pantaloni, scappa verso la capitale messicana in fermento artistico e culturale. Chavela aveva una gran voce e la sola esigenza di cantare. 

Tra notti nei bar, sigari e tequila, tramite conoscenze, una sera si trova a fare festa nella Casa Azul, la casa di Frida Khalo e Diego Rivera, casa in cui vivrà per un periodo. Ma questa amicizia profonda che nacque all’istante non era un duo; in realtà, era un trio. Tina Modotti era la terza amica. L’incontro con il musicista Jiménez le permise di esibirsi ovunque con i suoi abiti da uomo, la sua treccia, lo stile mariachi, l’iconico poncho rosso e pistola alla mano. Facevano paura quei due. 

La Vargas trasformò per sempre la ranchera, la liberò dagli stereotipi folkloristici, si smise di ballarla e si iniziò ad ascoltarla. Sì, da una donna con abiti maschili negli anni Trenta in Messico. Amori perduti, senso di vuoto dell’esistenza, alienazione sociale, abbandono, malinconia, solitudine, rimpianti, sono tutti temi universali che, con due chitarre e la sua voce, Chavela Vargas trasforma in sublime dolore e, quindi, poesia e vita. Con grande gioia di tutti i proprietari dei locali di città del Messico Chavela cominciò ad esibirsi anche nei teatri, dove continuò la sua vita sregolata tra alcol, donne e musica (non nascose mai la sua bisessualità). 

La fama di quella donna dal poncho rosso superò i confini nazionali e arrivò ad Hollywood. Elizabeth Taylor, Clark Gable, Lana Turner. Scendevano fino ad Acapulco dove potevano passeggiare per la spiaggia senza essere fermati e passare le serate ad ascoltare la calda voce di Chavela Vargas. Anche lei fu invitata al primo leggendario matrimonio tra Elizabeth Taylor e Richard Burton. In quella notte si narra che tutta Hollywood andò a letto con qualcuno. Il mattino dopo, al suo fianco c’era nientemeno che Ava Gardner che aveva un debole per lei da un po’. La grande festa finì nel 1973, con la morte di José Alfredo Jiménez, consumato dalla cirrosi epatica dovuta all’alcolismo.  

Per anni la Vargas si credette morta, si narra di averla vista seduta per terra a bere con un gruppo di operai o a giocare con dei bambini e dei ragni, o addirittura a fare della mendicanza; cosa che fece realmente quando arrivò dal Costa Rica al Messico. Qualcuno giurò di aver assistito perfino al suo funerale. Se non è una leggenda la sua vita… 

Che andasse invece a bere da sola sulla tomba del suo compagno era invece cosa reale. Dopo dodici anni di sparizione l’artista venne riconosciuta in un piccolo locale appena aperto, gestito da due giovani ragazze a Città del Messico. Tornata, così, dal regno dei morti la Vargas salì su quel palco e cantò. Incise un altro disco, l’ultimo, dedicato al poeta Federico Garcia Lorca. Partecipò cantando un suo cavallo di battaglia “La llorona” nel bellissimo film del 2003 sulla vita di Frida Kahlo, Almodovar volle conoscerla, e seguitarono altri concerti con lo stupore di tutti. Il successo di Chavela Vargas è a dir poco di livello mondiale. Restò sempre quella ragazza che toccò terra messicana negli anni Trenta senza possedere nulla, ed è questo a renderla un mito. Le sue canzoni ci lasciano messaggi eterni, universali, un’ode alla vita. 

Costantemente accarezzata dalla morte. Vita e morte in Messico ballano assieme e nessuna fa paura all’ altra. Si guardano negli occhi e mentre l’una osserva l’altra quel che vede altro non è che sé stessa. Nelle sue canzoni ringrazia gli sbagli, gli errori e rende grazie alla forza della vita se ce ne potrà far commettere altri. Il suo funerale, avvenuto il 5 agosto del 2012, fu accompagnato da canti di festa, tequila e i suoi amati mariachi, cosa non rara in Messico. La Vargas si definì per tutta la sua vita messicana e, a chi osava ricordarle che fosse nata in Costa Rica, rispondeva: “noi messicani nasciamo un po’ dove cazzo ci pare”. 

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