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Trentasei anni senza Pazienza

«Il mio primo disegnino riconoscibile l’ho fatto a 18 mesi, era un orso, questo testimonia quanto era forte in me il bisogno di disegnare», Andrea Pazienza. 

Muore già trentasei anni fa, in questi giorni di giugno, a Montepulciano presso la sua abitazione per overdose Andrea Pazienza, uno degli artisti più influenti del XX secolo. 

Conosciuto soprattutto per le vicende di Zanardi e Pentothal, è stato definito il Mozart del fumetto. Nato in provincia di Foggia vive tra Toscana, Emilia-Romagna e New York. Esordisce a ventuno anni mentre era uno studente del Dams di Bologna. Nel 1980 sul mensile Frigidaire, Pazienza crea il personaggio Zanardi, un liceale violento e senza ambizioni, protagonista di perfide avventure con gli amici Petrilli e Colasanti. Andrea Pazienza, realizza anche le indimenticabili serie Paz e Pert, dove il presidente della Repubblica Sandro Pertini è ritratto nelle vesti di un vecchio partigiano sempre in azione, affiancato dal goffo aiutante Pazienza. Con l’opera “Gli ultimi giorni di Pompeo” (1987), quasi un diario personale allucinante e santo dei suoi momenti bui ma che riguarda il disagio di una generazione, si chiude l’iperattività del giovane fumettista a soli trentadue anni. Pentothal fu il diario-manifesto, la “confessione” in chiave onirica del ’77 bolognese, una pagina cruciale per quella generazione che progressivamente si allontanò dagli ambienti della sinistra istituzionale per trovare nuove forme di espressione e di contestazione. Pazienza, all’epoca appena ventunenne, fu allo stesso tempo membro attivo e riferimento artistico di questa nuova ondata irriverente, provocatoria, scorretta, incredibilmente viva; non cadde mai nella banale definizione del genio e sregolatezza. Il suo aspetto è affabile e la sua dolcezza disarmante, disegna con tratto sia classico che pop art vicende crudeli della vita totalmente in contrasto con l’essenza del suo cuore ma sicuramente in linea con ciò che vive sente e vede. 

Anche se erano solo gli albori degli anni Ottanta sono state girate con videocamere decine di interviste al fumettista considerato dai critici un vero e proprio genio senza mezzi termini e senza cadere nell’esagerazione. Grazie a questi video possiamo conoscerlo, alcuni potranno innamorarsene altri potranno distaccarsi dal suo messaggio, ma nessuno potrà non cadere negli occhi di Andrea Pazienza, fumettisticamente parlando definibili come “due piscine di miele.” 

Poi esce nel 2002 “Paz!”, film diretto da Renato De Maria, racconta la storia di Massimo Zanardi (Flavio Pistilli), Enrico Fiabeschi (Max Mazzotta) e Pentothal (Claudio Santamaria), tre studenti che vivono nello stesso appartamento a Bologna ma sembrano non incontrarsi mai. La scelta di partire dai fumetti spinge a un’uguale radicalità di linguaggio, il cinema narra e media, e il passaggio da un mezzo all’altro sembra generare compromessi, infiacchire con la coscienza del poi i ‘messaggi’, e non esalta il linguaggio, però nello sguardo del regista c’è una grande onestà.  

Andrea Pazienza parla di sogni, incubi, amore, droga, fughe, ritorni a casa, coraggio e fragilità. Il suo talento, sia grafico che narrativo, viene riconosciuto in tutto il mondo. Andrea Pazienza tratta con il mastice: amore, vita, morte e ipotetiche resurrezioni in tutti i suoi lavori. L’amore che arriva è quasi un evento drammatico. Una delicata condanna a morte. Vissuto con tenerezza e paura della sofferenza. Quella che inevitabilmente arriva anche in un pomeriggio d’estate, quella non sempre è accompagnata dal “fuori piove”, quella, la sofferenza, bara. Anzi, spesso sceglie le giornate migliori, mentre è il diluvio che porta l’amore. L’inizio degli anni Ottanta è ancora un’epoca in cui è molto poco condannato il maschio Alfa, donnaiolo, Maciste. La sfrontatezza con cui Andrea Pazienza mostra esserne completamente l’opposto di questi stereotipi va a completare la figura di questo artista.  

La crudezza dei suoi disegni è spietatamente dolce. La sua vita fu un’altalena di vicende accompagnate più o meno dalla droga, e forse quando si fa questa vita la morte si sente sempre accanto. Infatti, l’artista più volte disse alla madre che quando gli sarebbe capitato qualcosa avrebbe solo voluto un po’ di terra, un bell’albero e riposare nel luogo in cui era nato. Noi, invece, Andrea Pazienza lo avremmo voluto ancora qui, avrebbe avuto meno di settanta anni e chissà come avrebbe approcciato ai millennial, ai social, al mondo di adesso. Chissà come sarebbe invecchiato Zanardi: sarebbe rimasta la solita canaglia o avrebbe acquisito saggezza? Ma qualcuno una volta disse: “muore giovane chi è caro agli dèi”.  

E allora ci piace ricordarti così caro Andrea: nelle interviste con i tuoi jeans mentre disegni, tramite i tuoi racconti, attraverso i destini e gli scorni dei tuoi personaggi, coi boccoli spettinati e i maglioni intrecciati color pastello. Con tutta quella vita. 

Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare un intera via crucis con una semplice stretta di mano o una visita ad un museo e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi e miliardi di parole d’amore.”, A. Pazienza.

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