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LA SCUOLA DI ATENE – Dell’arte e de i costumi

“E che egli non è men desso che se e’ fusse vivo, tanto è ben ritratto”. Così si esprimeva Giorgio Vasari, noto storico dell’arte del ‘500, in riferimento alla maestria della pittura di Raffaello Sanzio nell’affresco ‘La scuola di Atene’, in particolare nella caratterizzazione dei personaggi. Il giudizio non va però inteso come un semplice apprezzamento estetico. Nonostante sia indubbia la stima che il Vasari aveva per le capacità artistiche di Raffaello ( a proposito basti leggere l’incipit dedicato al pittore nel monumentale “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architetti”), il nesso tra ‘ben ritratto’ e il ‘men desso che se e’ fusse vivo’ apre a un orizzonte di comprensione più ampio, dove la raffigurazione di ogni personaggio assume una valenza che va oltre la semplice ‘citazione’. Nelle intenzioni di Raffaello e dei suoi committenti, infatti, l’affresco nasconde una pluralità di significati che superano la sola maestria artistica, pur essendo da essa innalzati. L’intuizione da cui parte questa serie di articoli, che come tale ho pensato nella forma di una rubrica, è che alcuni tra questi messaggi siano attuali e attualizzabili, senza forzature. I maestri del passato vivono ancora, basta saperli ascoltare e, aggiungo, dotarsi degli strumenti per farlo. ‘La scuola di Atene’ rappresentava allora sia un preciso giudizio sul momento storico sia una visione su alcune questioni fondamentali della vita e della società in generale. Per questo ne trarrò spunto per proporre a mia volta delle riflessioni legate all’attualità, ai nostri modi di vivere e pensarci nella società del XXI secolo.

Perché intraprendere un’impresa di questo tipo? Perché, invece, non scrivere semplicemente degli articoli di opinione che probabilmente incontrerebbero maggior favore tra un pubblico i cui impegni lasciano poco tempo alla lettura? Per tre ordini di ragioni credo. Primo, perché se è vero che uno spettatore imparziale, un personaggio cioè in grado di valutare gli eventi in maniera oggettiva e distaccata, non esiste, è altrettanto vero che non tutti i giudizi hanno lo stesso peso. Una rubrica è un modo originale di distinguersi, di iniziare una riflessione senza l’ansia di dover inseguire gli eventi o di dover pontificare immediatamente nell’immediatezza di un tweet. Secondo, prendere spunto da autori e visioni passate ci permette di non appiattirci sul presente, di riconsiderare argomenti che la società, cioè altri individui, hanno decretato al posto nostro essere superati o privi di importanza. Considerare la storia e la storia del pensiero è in questo senso un segno di libertà intesa come auto-determinazione, cioè come capacità di sapersi rapportare al mondo in maniera critica nelle proprie valutazioni e nelle scelte che da esse conseguono. Terzo, ‘La scuola di Atene’ è viva testimonianza della capacità che l’arte ha di trasmettere contenuti con immediatezza e efficacia. La grandezza di Raffaello non sta solo nel suo stile armonioso e senza artifici, ma anche nella capacità di piegare l’immagine alle logiche di concetti che espressi a parole rimarrebbero oscuri. Così l’affresco non va inteso come un insieme di sapienti dell’antichità posizionati casualmente ma piuttosto come una mappa di rimandi nella quale ogni personaggio assume un’identità, compie gesti ben studiati e ha una precisa collocazione. La raffigurazione riassume e perfeziona il messaggio che ogni filosofo, teologo o artista porta con sé. Specularmente alla ‘sintesi’ di Raffaello possiamo proporre alcuni dei più densi e importanti messaggi dell’antichità (fino al 1500) ai nostri giorni e farlo in un modo che sia allo stesso tempo godibile e suggestivo.

Una postilla a chiudere un’introduzione che inevitabilmente lascia più interrogativi che contenuti. ‘La scuola di Atene’ è uno dei quattro affreschi (vedremo nelle prossime uscite come anche gli altri tre siano fondamentali) che adornano la stanza della segnatura dei Palazzi Apostolici del Vaticano. Perché, domando al lettore, nelle lunghe code all’entrata si trovano così pochi ragazzi, così pochi romani e in generale italiani? La mia non è la solita condanna ad un popolo che non valorizza e apprezza il patrimonio artistico del suo Paese, bensì l’esposizione della ragione per cui questo accade. Semplicemente, per godere dell’arte e della sua bellezza servono gli strumenti adatti. Tommaso d’Aquino usava per definire il bello l’espressione “cuius ipsa apprehensio placet” (ciò la cui stessa percezione procura piacere), sottolineando il nesso fondamentale tra la conoscenza intellettuale della percezione e il godimento estetico. Ecco perché accanto alle tre ragioni sopra elencate se ne affianca un’altra, e cioè la speranza che attraverso questa rubrica emerga lo stesso interesse che ha portato me nella stanza della segnatura, a contemplare meravigliato i capolavori di epoche passate.

*Il titolo della rubrica viene dalla stessa fonte che l’ha ispirata, il commento del Vasari alla vita di Raffaello. Così lo storico italiano: “e volse ancora per Raffaello essere vinta dall’arte e da i costumi”. Benché il parallelismo non sia perfetto, è funzionale ai nostri scopi. Mi servirò infatti degli innumerevoli significati presenti dell’affresco, a loro volta rimandi a gran parte della filosofia antica, per proporre riflessione di carattere generale sulla società e il tempo in cui viviamo.

Paolo Santori

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