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La salvezza è solo una questione di sguardo

Un’assunto consolidato sembra essere quello coniato da Aristotele nella Metafisica: la meraviglia è motore della conoscenza. Thaumazein è il verbo che indica l’atto del meravigliarsi e Taumante, personaggio della mitologia greca, il cui nome ha la stessa radice di thaumazein, era padre di Iride, la messaggera identificata da Platone con la filosofia stessa. Iride, tuttavia, era anche dea dell’arcobaleno, forse l’evento naturale che più ha meravigliato i popoli dell’antichità e, poiché era vestita da gocce di rugiada, mutava continuamente colore, dal cui fatto proviene la denominazione del bulbo oculare.

Se la vista è il senso prediletto da Platone, una cultrice platonica come Simone Weil non può essere da meno in Attesa di Dio: “una delle verità fondamentali del cristianesimo, oggi misconosciuta da tutti, è che lo sguardo è ciò che salva”, perché “la religione non consiste in altro che in uno sguardo”. E se è vero che quest’ultimo abbia un cruciale – e tutt’ora irrisolto – rapporto con l’immaginazione, ecco che Roberto Revello in Uno sguardo che salva, edito da Meltemi, mette a confronto tre pensatori dello sguardo: Simon Weil, Pavel Florenskij ed Henry Corbin. La prima, filosofa e attivista sovversiva, aderisce al cristianesimo, senza però mai legarsi alla Chiesa Cattolica; il secondo, matematico e teologo, sceglie di sondare gli abissi platonico-pitagorici del cristianesimo ortodosso; il terzo, orientalista e storico delle religioni, è un protestante affascinato dall’imamologia sci’ita e dal mazdeismo persiano.

Weil si distingue, a partire dall’insegnamento dei suoi maestri Lagneau e Alain, soprattutto nella condanna di uno sguardo trasognante della realtà a cui deve opporsi uno sguardo etico. Quest’ultimo deve faticosamente scontrare la sua libertà con meccanismi fisici, biologici, psichici e sociali. È per questo che il bene supremo non è altro che una lettura della realtà (visione) in grado di vedere i molteplici modi di vedere: un’immaginazione impersonale che scruta il senso. Una fuga di prospettiva in prospettiva, fino ad una visione impersonale che consente di leggere la propria e altrui lettura del mondo. Infatti, l’estenuante ricerca di Weil dell’impersonale coincide con la sua più serrata critica all’individualismo filosofico e il personalismo cattolico.

Weil ammira il matematico Cantor, Florenskij ancora di più. Infatti, il teologo russo, in alternativa alla concezione di numero come unità logico-analitica formulata da Peano, accoglie la definizione cantoriana di numero tramite il concetto di “insieme“. In tal modo, il teologo di Yevlakh si può avvalere delle teorie pitagorico-platoniche – come la teoria dei gruppi – per superare le apparenti contraddizioni della teofania creaturale che albergano nel simbolo della Trinità cristiana. Anche per Florenskij alle verità più profonde dei numeri si arriva tramite l’immaginazione e la contemplazione. Solo l’accesso a queste entità o relazioni può donare un modo straordinario di vedere la realtà. Accusato spesso di eresia e gnosticismo da figure di spicco dell’ortodossia cristiana come Berdjaev e Florovskij, il teologo e matematico russo, come dimostrato da molti studi, non cederà mai davvero a teosofie e occultismi.

Simile destino è stato quello di Corbin, spesso accusato di sincretismo o anti-semitismo nel peggiore dei casi. In comune con i due precedenti, il terzo pensatore dello sguardo parte dal presupposto che le nostre forme di conoscenza siano il nostro modo di guardare al mondo e che, in quanto tali, dipendano da una scelta etica. Il modus cognoscendi è determinato dal modus essendi. Nonostante ciò, Corbin è un riformulatore del docetismo, corrente cristologica antitetica all’ortodossia di Florenskij e alla cruda fattualità del malheur di Weil (l’idea per cui il sacro si conosca nella sventura). La sua riformulazione è insieme una Weltreligion e una teoria della conoscenza. Weltreligion in quanto accomuna in un’unica famiglia più correnti religiose (come l’imamologia sci’ita e la teosofia orientale), teoria gnoseologica in quanto riabilita l’apparenza che fa da tramite a una facoltà immaginativa che dona forme ai dati sensibili.

Revello si cimenta in buona parte del saggio nella comprensione di uno dei concetti più misteriosi e complessi della teologia: la “sofia”. Figlia dell’Antico Testamento ma incredibilmente affine a quella che Platone chiama “Anima del mondo”,  l’immagine torna a più riprese persino nella mistica islamica. Ecco, dunque, il viaggio che si compie in Uno sguardo che salva è complesso, denso di simbologia e riferimenti impensabili. È un filo d’Arianna che connette il Medio-Oriente, la Russia e L’Occidente. Rappresenta il confronto di etiche diverse, eppure accomunate dal proposito di affinare lo sguardo di cui parla Italo Calvino ne Le città invisibili:

Cercare di saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio

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