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Un luogo di pace: Il Caffè di Tamer di Diego Brasioli

“Va fatta una premessa, tuttavia: non ha senso stabilire chi ha cominciato, di chi la colpa di aver esitato e di aver lasciato libero corso alla voce della violenza”

Romanzo garbato e delicato che non scivola mai nell’estremizzazione dei due fronti ma si limita a descrivere il vissuto di due popolazioni, mischiate contro il loro volere, che, scevre da imposizioni di stampo politico ma legate dal filo logico dell’umanità in quanto tale, subiscono l’egemonia di pochi con le conseguenze note a tutti.

Diego Brasioli descrive la storia di Dori e Tamer, prendendo spunto da due personaggi realmente esistiti, romanzando la loro amicizia, facendolo con profonda conoscenza dei luoghi e dei fatti anche grazie alla sua esperienza di ambasciatore a Beirut per molti anni.

La storia viene raccontata con la gentilezza di un bambino che, senza macchie e pregiudizi, si limita a riportare i fatti e i profondi sentimenti degli animi umani.

L’ebreo americano Dori, emigrato in Israele, e l’arabo Tamer si conoscono per caso in uno di quei pomeriggi di passeggiate solitarie e malinconiche nei borghi arabi di Gerusalemme, silenziosa e tranquilla, che a Dori piaceva fare prima di tornare a casa.

“Qui la gente, semplicemente, viveva, fianco a fianco, magari tra diffidenze, certo, ma senza quella violenza sempre pronta a esplodere che lo sgomentava”.

Un caffè, senza insegna, lo invoglia ad entrare e Dori si ritrova in un mondo diverso ma ospitale dove Tamer lo accoglie con educazione e simpatia. Di qui inizia una storia di vera amicizia, tra un arabo ed un ebreo, che coinvolge anche le loro famiglie: i due vivranno quasi quarant’anni vicini, cavalcando, non senza timore, gli sconvolgimenti di un paese spaccato, dilaniato dalle divisioni, senza che tutto questo intacchi minimamente il loro affetto.

Vivranno tutte le conseguenze di una escalation politica e bellica, dalla guerra dei 6 giorni, all’assassinio di Rabin, dagli insediamento i dei coloni che, a macchia di leopardo, agguantano terreni nei territori palestinesi alle reti di Hebron dove i nemici sono i vicini dove “la divisione è stratificata, dal piano di sopra a quello di sotto, e in mezzo le reti, come garze sovrapposte a ulcere, deboli palliativi su escrescenza che ribollono dalla pelle, che la gonfiano come un tumore, una lebbra che chissà quale balsamo potrà lenire”.

Quell’amicizia di lunga data e quell’affetto diventato fraterno finiscono con una notizia alla radio. Dori è stato ucciso, è il numero 231 dei morti israeliani degli agguati ormai quotidiani negli anni 2000.

Un giovane arabo a cui era morto un fratello e la cui casa era stata rasa al suolo, si vendica. Occhio per occhio. Vendetta, solo vendetta per suo fratello, per il suo popolo, per la Palestina.

Bene ha fatto dunque la Casa Editrice Mursia a rieditare nel 2024 un libro andato in stampa per la prima volta nel 2002. Un motivo di riflessione, per ricercare tolleranza in una terra violentata tra due popolazioni che fanno a gara per annientarsi in nome di una faida che non avrà, purtroppo, mai fine.

“E dopo ogni guerra, pensava Dori, dopo ogni battaglia, non una, ma due, tre, dieci, cento versioni. Chi avrà ragione, alla fine? Ciò che appare sembra una cosa, ma poi ne sembra un’altra, e poi ancora cambia di prospettiva. Alla fine, cosa conta chi ha ragione, se la ragione stessa è andata persa?”


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