Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan, compie 81 anni il 24 maggio
Robert Allen Zimmerman, più noto al grande pubblico come Bob Dylan, può godersi un ricco e sereno compleanno. Il più noto padre e mentore di tutti i cantautori contemporanei, detentore di un premio Pulitzer e di un Nobel per la letteratura (ottenuti rispettivamente nel 2008 e sei anni dopo, nel 2016), per questo anno 2022, quello dell’ottantunesimo anniversario dalla nascita il 24 maggio del 1941, si dedica al suo Never Ending Tour.
Dal 2020, quando ha capitalizzato e assicurato il suo futuro con la sua storica label major, la Sony, vendendo i diritti di tutti i suoi album, il cantautore e polistrumentista può sicuramente approfittare di un proficuo “pensionamento”, ma non a detrimento dei suoi innumerevoli adulatori in tutto il mondo. Partito negli anni Sessanta senza un soldo in tasca, adesso può contare su un patrimonio a diversi zeri che sfiora i trecento milioni di dollari.
Un “infinito” buen retiro
Per il suo buen retiro Dylan ha scelto ancora di calcare i palchi intercontinentali e americani, con una data conclusiva a San Diego a metà giugno. E non è l’unico: sono in tanti che, come lui, tornano sulla cresta dell’onda dedicandosi con una pratica quasi esclusiva al loro primo, e forse unico, amore: i concerti live. Da Bruce Springsteen a Roger Waters, da Neil Young a Paul McCartney, negli ultimi mesi, complice anche la nuova ripresa degli spettacoli dal vivo dopo la fase del “long Covid”, i padri della musica moderna hanno di nuovo fatto irruzione, con immutata potenza e intemporalità, nella scena musicale live contemporanea.
Un monumento vivente
Il menestrello di Duluth, sua villa natale in Minnesota, è entrato ormai da alcuni decenni a pieno titolo tra le leggende viventi della storia culturale dell’Occidente, che supera le barriere temporali, spaziali, iconiche e simboliche.
Monumentalizzato da tempi immemori, Dylan ha sempre rifuggito, per scherno, carattere, contraddizione in termini, tutte le etichette che nel corso del tempo hanno cercato di incollare sulla sulla pelle di cantautore e musicista: dal padre del rock, poi del folk, a poeta, poi all’autore di Blowin’ in the Wind (come se avesse scritto solo quel brano per assicurarsi il paradiso in Terra), fino al simpatico “meme” che ancora circola, sul suo mood durante l’interpretazione di We are the world (USA for Africa, 1985).
Ma Dylan, come molte immortali opere e personalità, è tutto questo e il suo contrario: è il diavolo degli anni Sessanta e l’acqua santa del Nobel, è incontenibile e inadatto a tutte le possibili categorie e categorizzazioni, indefinibile in poche righe di un articolo.
Di sicuro è la coscienza vivente e sibilante della nostra (e sua) epoca; “alieno” sbarcato a New York che cambia nome e sconvolge la downtown di Manhattan con i suoi brani e i suoi testi apocalittici, Dylan inneggia alla mitologia poetica del blues, delle sonorità swing, al country, con una panoplia di parole e testi che inneggiano e si ispirano a capolavori letterari di enorme profondità e intensità.
Tra gli artisti più riprodotti della scena musicale mondiale, dai Guns N’ Roses ad Adele, Bob Dylan resta il più produttivo e singolare caso musicale di tutti i tempi.