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Intervista | Mogol: “Bisogna mantenere viva la cultura popolare in Italia”

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In occasione dell’evento “Mogol vi racconta”, spettacolo-intervista con Giulio Rapetti organizzato presso il Teatro Mandanici di Barcellona Pozzo di Gotto dalla Show Live Eventi di Tindaro Davide Di Perna, abbiamo avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con Mogol, poeta della musica italiana e autore di brani indimenticabili che hanno accompagnato (e continuano a farlo) intere generazioni.

Lo spettacolo ha visto la partecipazione della talentuosa Sara Ricciardi, che ha interpretato alcuni dei brani scritti da Mogol, accompagnata da musicisti professionisti: Fabrizio Ribaudo (batteria), Tindaro Raffaele (pianoforte), Tommaso Aricò (basso), Carmelo Scaffidi (chitarre), Salvatore Niosi (chitarra acustica) e Gemino Calà (sax, flauto e clarinetto).

Buonasera maestro, com’è nata l’idea dello spettacolo?

Ormai da tantissimi anni organizzo spettacoli per il CET, la scuola che gestisco in Umbria, per sostenerla economicamente e farla crescere sempre di più, con l’obiettivo di mantenere viva la cultura popolare nel nostro paese. Ho creato questa scuola ben ventotto anni fa e adesso è diventata molto importante, sono stato anche a Boston per fare alcune lezioni ad Harvard e a Berkley. Adesso stiamo anche organizzando uno spettacolo televisivo, nel quale presenteremo al pubblico le 12 canzoni più belle scritte e cantate dai nostri allievi, per le quali ho contribuito in parte anche io. La scuola è stata ed è il sacrifico della mia vita, la mia grande soddisfazione, per la quale non ho mai guadagnato, ma ho fatto sempre tutto con piacere, perché è la mia passione. Sono stato e sono un uomo fortunato, perché ho avuto tante soddisfazioni e ho potuto dedicarmi interamente alla musica, la mia vita.

Nella stesura dei testi, è la musica a ispirare le parole o viceversa?

Sì, è sempre la musica a ispirare il testo, assolutamente. La musica ha un suo senso e, comprendendolo, si può scrivere frase per frase una canzone. I pezzi da me scritti sono specchio di esperienze di vita vissuta, non mi ispiro alle mie letture, che non hanno influito su di me, ma alla vita stessa. Dico infatti sempre ai miei allievi di scrivere senza pudore, senza vergognarsi, di raccontare se stessi. Le canzoni sono poesia pura e istintiva, nate con la suggestione della musica. Devo essere il primo a emozionarmi quando leggo i miei testi, ricchi di episodi della mia vita personale, pezzi di me.

Degli autori e delle voci contemporanei, quali ritiene i più promettenti?

In primis sicuramente Giuseppe Anastasi, siciliano, uno degli autori a mio parere più talentuosi in circolazione. In questi anni, i miei migliori allievi sono stati di certo Giuseppe Anastasi, Arisa e Giuseppe Barbera, anche lui siciliano. Credo fermamente che loro tre rappresentino il futuro della musica italiana, come autori e come voce.

Infine, può raccontarci un episodio particolare della sua carriera?

Ci sono tantissimi episodi indimenticabili. Posso raccontarti il mio insolito incontro con Dylan a Londra. Sono stato da lui perché non aveva autorizzato il mio testo tradotto di una sua canzone, giustamente, perché non aveva più lo stesso senso rispetto all’originale. Quando ci siamo visti, gli ho detto che ero pienamente d’accordo, ma che mi doveva spiegare bene il senso, così da tradurlo al meglio; lui mi ha dato ragione, dicendomi che in realtà neanche lui comprendeva bene il senso della canzone, un episodio davvero curioso. Una grande soddisfazione è stata invece la scelta di un mio pezzo per un film del grande Bernardo Bertolucci, che è venuto a trovarmi a casa per dirmi di aver scelto la mia canzone “Ragazzo solo, ragazza sola” per il film “Io e te”, un’esperienza davvero appagante.

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