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Thailandia: tra i molteplici equilibrismi

Malgrado lo spirito impersonato dalle elezioni politiche del maggio 2023, il caos politico continua in Thailandia, dove l’ombra dell’autoritarismo e dell’esercito, che ha preso il potere con la forza nel 2014, continua ad aleggiare. Non solo crisi politica. Il Paese si trova davanti a numerose sfide che vanno dall’economia, alla demografia passando per le problematiche sociali. A livello diplomatico, Bangkok continua a mantenere una politica fatta di delicati equilibri, mantenendo buoni rapporti con i Paesi occidentali cercando contemporaneamente di non offendere Pechino.

Lo scorso autunno è tornato dall’esilio l’ex Primo Ministro Thakain Shinawatra (2001-2006) ed è stato costituito un nuovo governo. Ma la situazione rimane confusa, e preoccupante perché la realtà non riflette le aspirazioni dei Tahilandesi. Cerchiamo di ricordare alcuni fatti. I risultati delle elezioni del maggio 2023 facevano pensare che si potesse finalmente voltare pagina dopo anni di governo militare (dal colpo di Stato del 2014), grazie al giovane Partito Move Forward arrivato davanti al Phau Thai di Thakain, allora in esilio, i conservatori e militari, molto indietro nei risultati. I due Partiti in testa erano d’accordo sulla necessità di tornare alla democrazia, e promettevano una rapida revisione del crimine di lesa maestà, strumento che ha permesso ai militari di reprimere le voci dissidenti. Nonostante ciò, la coalizione formata dai due Partiti non riuscì a comporre un governo che vedeva a capo il giovane segretario di Move Forward, Pita Limjarcennat, malgrado la larga maggioranza di voti ottenuti nelle elezioni. Questo per il rifiuto del Senato, i cui membri sono in carica dal 2014 designati dall’esercito, di appoggiare la nomina a Primo Ministro di colui che aveva portato avanti la sua campagna elettorale contro i conservatori e i militari, e promesso di demilitarizzare la vita politica del suo Paese. Dopo numerosi ricorsi, fu formato un governo nell’agosto del 2023 a maggioranza Pheu Thai, con a capo Sfettha Thavisin, diventato Primo Ministro grazie alla rottura con il suo alleato elettorale.

Da quasi un anno, i Thailandesi sono quindi diretti da un governo che non hanno scelto, cosa che non fa che prolungare il marasma politico e la deriva autoritaria nella quale il Paese vive da ormai un decennio. Da parte sua, l’ex Primo Ministro Thaksin è tornato nel Paese, e dopo aver scontato una pena simbolica, è tornato ad essere uno degli uomini più influenti della Thailandia. Così, politicamente la Thailandia rimane oggetto di numerose preoccupazioni e non riesce ad uscire dai perniciosi ingranaggi che il colpo di Stato del 2014 ha messo in moto.

Anche dal lato economico e sociale le cose non vanno molto bene. Se la Thailandia ha vissuto nell’ultimo secolo numerosi colpi di Stato, questi sono paradossalmente serviti alla stabilità del Paese (ricordiamo che non è neanche mai stato colonizzato), ed è stato la locomotiva dell’economia del sud-est asiatico negli anni ’60 e ’70, grazie a grandi investimenti occidentali, e nei decenni successivi grazie ad una forte presenza nipponica prima e sudcoreana dopo. Se il Paese ha sofferto molto per la crisi asiatica del 1997, è rimasto uno dei motori dell’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico) insieme a Singapore e l’Indonesia. Nonostante ciò, la tendenza degli ultimi due decenni porta una zona di ombra sul futuro del Paese che non riesce più a imporsi come modello in seno all’Asean. A questo si aggiungono le conseguenze della pandemia di Covid-19, di gran peso in un Paese dove più del 20% del PIL deriva dal turismo, soprattutto cinese. Se oggi il turismo pare ripartire a grande velocità, facendo auspicare il miglioramento tanto atteso dell’economia, basta rendersi nei luoghi più amati dai turisti cinesi, come la Regione di Chiang Mai, a nord del Paese, per vedere a che punto le attività tardino a ritrovare i ritmi del passato. Se la Thailandia non è la vera “malata” dell’Asean, essendo la situazione tragica nella vicina Birmania, oggi deve far fronte non solo a sfide economiche, ma anche sociali. Inoltre, il Paese sta vivendo un grave declino demografico che potrebbe subire un’accelerazione nei prossimi decenni, visto che dei 70 milioni di abitanti che popolano oggi la Thailandia, questi potrebbero arrivare a 50 se non 40 milioni alla fine del secolo.

Va anche ricordata la questione migratoria, attualmente alimentata dalle miriadi di rifugiati provenienti dalla Birmania in guerra: ufficialmente qualche centinaio di migliaia, dai tre a quattro milioni secondo diverse fonti provenienti dalle ONG. Bangkok mantiene una diplomazia che le permette di rimanere in contatto sia con le democrazie occidentali che con la Cina, nonostante le tensioni aumentino tra Pechino e Washington. In questo la posizione thailandese ricalca quella di altri Paesi dell’Asean (ad eccezione delle Philippine) e rifiuta di sottomettersi a qualsiasi grande potenza.

Nonostante il suo governo autoritario, l’ex Primo Ministro e generale Cha-O-Cha (2014-2023) è riuscito a mantenere strette relazioni con i Paesi occidentali. Ma Bangkok è anche molto vicina a Pechino (una parte importante della sua popolazione, 14% più o meno, è di origine cinese come accade in molti altri Paesi della regione dove la diaspora cinese raggiunge grandi numeri) e mantiene con la Cina stretti rapporti economici e commerciali, oltre a non opporsi apertamente alle sue velleità, soprattutto nel Mar della Cina meridionale.
Peraltro, la Thailandia mette costantemente in rilievo la sua sovranità, inclusa la negoziazione con Pechino di accordi nell’ambito delle nuove vie della seta.

L’obbiettivo è di non lasciarsi alle spalle le grandi potenze, senza però dipendere troppo da loro.

Tutto un gioco di equilibrismi delicati e difficili, che la situazione politica ed economica complicano, ma che Bangkok sembra per ora mantenere abilmente ancora in piedi.

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