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Faccio tutto ciò che mi fa vibrare: intervista a Luigi Di Capua

Luigi Di Capua non è solo The Pills: a breve uscirà Holy Shoes, il suo primo film da regista e, per l’occasione, abbiamo fatto una chiacchierata con lui.

LB: The Pills è stato un format di successo, ma ti chiedo: c’è qualcosa che non rifaresti?

Direi di no. 

Sono una persona che fa molto pace con i propri errori, fanno parte di un processo di crescita e quando vuoi buttarti a fare dei contenuti devi pensare che qualcosa può non andare bene. Per molto tempo ho pensato che avessi potuto fare meglio questa o un’altra cosa, però è un pensiero che, se ci entri, non sei mai contento, perciò sono molto orgoglioso di tutto.

GV: Con The Pills avete raccontato una Roma diversa: fuori dall’ordinario, dal monumentale. Ci sono tre luoghi di Roma, anche non convenzionali, che reputi tuoi?

Sicuramente la Tangenziale Est, il più grande monumento di Roma! [ride, ndr.]. Devo dire che mi piace anche molto Garbatella o… la Vela di Calatrava. 

O meglio, “l’incompiuto di Calatrava”. La nostra Sagrada Familia. È diventato un simbolo praticamente del fallimento e della mancata evoluzione della città di Roma. Seriamente, il terzo luogo che ti direi è la Cupola di Don Bosco, la “San Pietro di Roma Sud”

LB: Come ti sei conosciuto con Luca e Matteo?

Noi tre suonavamo dischi punk ai tempi del liceo. Non abbiamo mai fatto un gruppo insieme, ma, tra il 2004 e il 2005, eravamo tutti in gruppi punk simili tra di loro. Luca e Matteo (leggi qui l’intervista a Matteo Corradini), ad esempio, avevano un gruppo punk con mio fratello e lui mi presentò a loro, abbiamo condiviso inizialmente la passione per la musica, andando a concerti insieme, in giro per l’Italia.

GV: Il sottotitolo del vostro film era “Sempre meglio che lavorare” e raccontava una certa disillusione del mondo lavorativo. Qual è la tua ricetta per rimanere vivi, nonostante il lavoro?

Continuo ancora a rivendicare la frase del film, in cui non c’è assolutamente voglia di “fancazzismo”, ma credo ci sia qualcosa di più profondo. Credo che tutti noi ci siamo resi conto, anche andando avanti col tempo, soprattutto di alcune condizioni lavorative a cui siamo stati sottoposti. Tanti lavori necessari (che magari ho anche fatto per un po’) sono spesso stati deumanizzanti e l’idea è sempre quella di “meglio non lavorare”. Nel mio caso, invece che lavorare… lavoro dieci volte tanto. La mia ricetta personale è fare tutto ciò che mi fa vibrare, sono fatto così. Se mi metti in un negozio di vestiti a fare il commesso, non posso farlo e non è una scelta dettata dal fatto che sono viziato, assolutamente. È soltanto il fatto che se non lavorassi nel cinema, farei qualcosa di… criminale probabilmente [ride, ndr.]. Chiaramente sto estremizzando il concetto ma sicuramente non farei un lavoro canonico, normale.

GV: Web, podcast e sceneggiature: con quale medium sei più a tuo agio?

Devo dirti la verità: non credevo di trovarmi bene in un podcast, ma è stato molto piacevole farlo. Scrivere sceneggiature ad oggi, però, è ancora la cosa più bella.

GV: Come artisti del web siete riusciti a cavalcare l’onda di YouTube, quando quest’ultimo era in una fase ancora organica e siete stati dei precursori. Secondo te ci sono ancora delle possibilità su alcune piattaforme di poter “anticipare” o, ormai, il mercato è totalmente saturo e non c’è più modo di essere “i primi” su un determinato network o social?

Ti porto un esempio: tre anni fa, quando è uscito Muschio Selvaggio, sono stati i primi a fare podcast, quindi credo si possa essere primi rispetto a qualcosa, ma poi cambia tutto molto velocemente. Adesso il mercato è sì saturo, ma di cose profondamente diverse rispetto a The Pills. È saturo perfino OnlyFans… [ride, ndr.] Nel senso, il content creator si è “sgraziato”: qualunque content gli dai lo reinventa, su qualunque social, anche appena creato. Quindi anche i social appena creati, sono già strapieni di creator e contenuti. Sarà che l’idea di precursore la associo molto a quella di content creator. Oggi il lavoro si è sdoganato, è cambiata l’abitudine quotidiana. Lo fanno praticamente tutti, quindi la domanda che ci si pone ormai è perché non dovresti farlo anche tu?

LB: In che progetti sei coinvolto in questo momento?

Ho appena finito di dirigere il mio primo film da regista che si chiama Holy Shoes e sto scrivendo il prossimo che si chiamerà Argentario. Il primo parlerà del mondo delle sneakers, mentre il prossimo riguarderà il senso del privilegio.

LB: Domanda scomoda e assolutamente scollegata dall’intervista: tra Sasha Grey e Mia Khalifa, chi scegliamo?

Ai tempi dei tempi ti avrei detto Sasha, ma ora come ora Mia Khalifa. Ha fatto un grande lavoro di brand pur non lavorando più da tempo… [ride, ndr.]

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