Dal giugno 2014, un blogger di Mosul, di professione storico, ha raccontato la vita quotidiana degli abitanti della città. Con l’avvicinarsi delle truppe irachene, le sue storie si sono tinte di speranza, ma hanno riflesso anche i timori della popolazione locale assoggettata al dominio dello Stato islamico
PERUGIA – Dal suo blog con lo pseudonimo di Mosul eye, “l’occhio di Mosul”, ha divulgato al mondo le atrocità commesse dal gruppo jihadista nella sua città con l’occhio della parte di Mosul che non ci sta. Lo ha fatto nell’ombra.Per garantire la sua segretezza e mantenere l’anonimia cambiava spesso la sua attrezzatura informatica come ha divulgato al New Yorker. Nonostante i rischi, l’autore dell’occhio di Mosul ha insistito per scrivere quasi quotidianamente con grande coraggio la vita a Mosul. Così ha raccontato solo i fatti con obiettività e trasparenza.
Il suo lavoro è stato essenziale per i media di tutto il mondo che pescavano notizie dal suo blog. Questo storico indipendente (come recita ancora oggi il blog), ha informato il mondo. La sua attività è diventata una sorta di missione e ha rischiato la vita molte volte infiltrandosi con i miliziani facendosi appositamente crescere la barba e parlando con le persone, come autista, girovagando per le strade pattugliate dal sedicente stato islamico. Ha assistito in prima persona alle esecuzioni, lapidazioni, torture e altre atrocità, come ha spiegato, visibilmente segnato nello sguardo che appare profondamente triste, a Corrado Formigli che lo ha intervistato al Festival internazionale del giornalismo di Perugia, dove ha raccontato la sua esperienza. Il blogger, rivelò la sua identità all’AFP (Agence France Press), il suo nome è Mohammed Omar, 31 anni.

Quest’uomo era mosso dalla necessità di verità e di raccontare al mondo cosa succede nella sua amata città, senza filtri. Il suo modus operandi prevedeva due regole sacro sante: la prima, essenziale, non fidarsi di nessuno, la seconda, documentare tutto, da come gli jihadisti hanno provato a snaturare e modificare la base multiconfessionale di Mosul, alle violenze perpetrate dagli uomini di Daesh.
Tuttavia, Omar non si definisce una spia e ci tiene a sottolinearlo. Il suo lavoro non passa inosservato e rapidamente ottiene grande seguito sui social come Facebook, Twitter ma anche in WordPress. Per anni è riuscito a mantenere segreta la sua identità. Nessuno, ma proprio nessuno, nemici, famigliari e giornalisti sono riusciti ad identificarlo. Moltissime volte è stato fermato nella zona di controllo dai miliziani avendo addosso una pennetta USB in cui conteneva informazioni, che in quel contesto, potevano solo significare morte certa.
PRIMO INCONTRO CON IL NEMICO.
Il blogger lavora all’Università della città e qualche giorno dopo l’attacco dei miliziani, avviene con loro un incontro attraverso il quale spiegano come sarà il nuovo sistema scolastico. Una totale distruzione del sistema in atto in cui crede, ovvero, un sistema di rigida interpretazione dei testi sacri islamici. Quanto basta per lasciare l’Università, almeno questa è stata la sua reazione. Tuttavia, un amico gli ricorda che così facendo rischia di essere fatto fuori. Il racconto dell’estremismo dell’ISIS e delle loro atrocità prosegue sul blog e i media occidentali si accorgono di lui. Il primo a contattarlo è un quotidiano tedesco e poi l’autorevole New Yorker. La sua missione prosegue e il suo obiettivo, come ribadito durante l’incontro con Formigli, è quello di mantenere l’anima della città in cui è diventato uomo. La sua testimonianza è forte e alcuni dettagli sono un pugno allo stomaco.
@#MosulEye made himself a promise: Trust no-one, document everything #historian https://t.co/0ZmDB0AeYF pic.twitter.com/0emgKBMvGU
— Trending Iraq News (@Iraqolizer) 8 dicembre 2017
LASCIARE MOSUL
Mohammed, si rende conto che restare in città sia diventato troppo pericoloso e decide di lasciare la sua Mosul. Così, grazie a un trafficante si dirige ad est di Racca, da dove con altri siriani e iracheni raggiunge la Turchia dopo aver pagato alcuni trafficanti per farlo. Il suo lavoro non finisce qui, aggiorna il blog grazie alle informazioni di amici e parenti. Omar, ottiene asilo in Europa ma poco dopo viene a conoscenza della morte del fratello 36enne, padre di quattro figli. Il fatto che l’ha spinto a rivelare la sua identità.
Tra le tante domande che gli sono state poste, quella che viene spontanea a chi conosce o viene a conoscenza della sua storia è: “perché l’hai fatto?”. Mentre la città veniva letteralmente distrutta, come abbiamo visto con le immagini da apocalisse che hanno fatto il giro del mondo, lui raccontava quanto accadeva sì, ma ha anche fornito agli inviati sul posto le coordinate e i numeri di telefono di alcune famiglie di civili, salvando loro la vita. Perché l’ha fatto dunque? “Per la storia”, risponde lui. Da professore di storia appare quasi scontata come risposta, ma la risposta dell’uomo è straordinaria. Così facendo, quando tutto finirà, perché finirà e tutto tornerà normale a Mosul un giorno, la gente che per fortuna non ha vissuto questo incubo, potrà studiare ciò che è successo a Mosul e non dimenticare.
Twitter@ManuManuelg85