Quasi due anni dopo la firma del cessate il fuoco che ha messo fine ad una delle guerre più devastanti degli ultimi tempi, vige una fragile pace nella regione settentrionale del Tigrè, in Etiopia.
Ma se i combattimenti sono praticamente fermi da quando i negoziatori hanno firmato nel novembre del 2021 l’accordo a Pretoria, in Sudafrica, le scosse di assestamento del conflitto continuano a farsi sentire.
A partire dal novembre 2020, la guerra tra l’esercito federale e i ribelli guidati dal Tigray People’s Liberation Front, o TPLF, ha ucciso circa 6.000 persone ed è arrivata a minacciare la caduta del governo del Primo ministro Abiy Ahmed ad Addis Abeba. Ha anche coinvolto truppe dell’Eritrea e della regione di Amhara in Etiopia, a sud del Tigrè, entrambe in lotta dalla parte del governo.
Un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha scoperto che tutte le parti hanno commesso potenziali crimini di guerra.
Secondo gli investigatori, gli eritrei avrebbero condotto una campagna di schiavitù sessuale nel Tigrè, mentre il governo etiope avrebbe usato “la fame come strumento di guerra”, bloccando gli aiuti di cui c’era disperato bisogno. Anche la parte del TIgrè è stata accusata di abusi.
Sebbene gli aiuti possano ora raggiungere gran parte del Tigrè, la situazione umanitaria rimane disastrosa. Durante la stagione delle piogge di questa estate le precipitazioni sono state numerose, ma alcune parti stanno ancora accusando gli effetti di una siccità storica.
In alcune aree, gli agricoltori per anni non sono stati in grado di raccogliere i loro frutti. Molti altri hanno perso le loro attrezzature agricole a causa dei saccheggi che hanno dilagato durante la guerra.
Nel 2023, la sospensione di nove mesi degli aiuti da parte delle Nazioni Unite e degli Stati Uniti per corruzione diffusa ha aggravato l’impatto della siccità. Con le scorte alimentari esaurite dalla guerra, molte comunità agricole stanno ricorrendo al consumo di bacche e radici selvatiche per non morire di fame.
All’inizio di quest’anno, i funzionari locali hanno lanciato l’allarme per carestia, a meno che non fossero rapidamente rinegoziati gli aiuti umanitari. Il governo federale di Addis Abeba li ha accusati di politicizzare la crisi, sebbene i mediatori stessi abbiano dichiarato di aver verificato la morte per fame di almeno 351 persone nel Tigrè.
Altri 44 decessi per fame nella vicina regione di Amhara.
Grazie alle recenti piogge, la situazione dovrebbe migliorare una volta che gli agricoltori riusciranno a portare a casa il raccolto, se tutto va bene, già a partire da questo mese.
Intanto gli aiuti alimentari stanno raggiungendo le regioni più remote, grazie alla ripresa delle consegne, avvenuta nei primi mesi del 2024.
Tuttavia, gli aiuti umanitari sono colpiti dalla carenza di finanziamenti. Finora, le Nazioni Unite hanno ricevuto solo il 21% dei 3,2 miliardi di dollari necessari a sfamare l’Etiopia oggi.
Inoltre, la parte occidentale del Tigrè rimane sotto il controllo delle forze di Amhara ed è ancora tagliata fuori dalla consegna degli aiuti. Questa zona è nota per la produzione di sesamo, una preziosa risorsa commerciale, nonché per i suoi depositi di oro.
Quando scoppiò la guerra nel novembre del 2020, la milizia di Amhara si impossessò della Regione, sostenendo che era di loro diritto. Sono state sfrattate con la forza centinaia di migliaia di tigrini con una brutale campagna caratterizzata da violenza sessuale, massacri, torture e detenzioni arbitrarie, condannate dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti come “pulizia etnica”.
Il futuro status del Tigrè occidentale e di quello meridionale, altra area contesa, rimane incerto.
Abiy ha promesso di indire un referendum per determinare il loro destino. Ma questa idea è impopolare tra gli Amhara, che ora stanno combattendo la propria ribellione regionale contro il governo federale.
Sebbene abbiano combattuto a fianco dell’esercito etiope contro il Tigrè, non hanno preso parte agli accordi per il cessate il fuoco di Pretoria, considerandolo una pugnalata alla schiena.
Nel frattempo, centinaia di migliaia di persone cacciate dal Tigrè occidentale languono in campi improvvisati.
Private delle loro piccole fattorie e attività, sono tra quelli più colpiti dalla sospensione degli aiuti. Il 31 maggio di quest’anno, le autorità del Tigrè hanno svelato un piano per riportare 690.000 sfollati nelle loro case nel Tigrè meridionale e occidentale. Ma ad oggi sono stati fatti pochissimi progressi.
Circa 3.700 persone sono rientrate tra giugno e luglio, ma persino questa iniziativa su piccola scala è stata bloccata dalle dispute sullo status dei membri della milizia che rientrava dal Tigrè.
Non è chiaro se il referendum di Abiy si terrà indipendentemente dal rientro di tutti gli sfollati nelle loro case.
Se non verrà risolta presto, questa disputa potrà portare a far deragliare l’accordo di Pretoria. È quanto è emerso all’inizio di quest’anno quando sono scoppiati scontri tra combattenti tigrini e amhara in diversi distretti del Tigrè meridionale.
A peggiorare ulteriormente la situazione, le forze eritree occupano ancora diverse regioni di confine del Tigrè, dove continuano a rapire civili e saccheggiare le loro proprietà.
La loro presenza sta ostacolando la smobilitazione della forza di combattimento ribelle del Tigrè, forte di circa 275.000 uomini. In base a un accordo di attuazione stipulato dai leader militari poco dopo il cessate il fuoco di Pretoria, il disarmo doveva essere effettuato “contemporaneamente al ritiro delle forze straniere e [non governative] dalla regione”. Con i miliziani di Amhara ancora nel Tigré Occidentale e meridionale e le truppe eritree all’interno del confine, questa condizione non è stata soddisfatta. I leader del Tigrè sono evidentemente riluttanti a sciogliere la loro forza di combattimento per paura che scoppi un nuovo conflitto.
Come per la consegna degli aiuti, anche il processo di smobilitazione è ostacolato dalla mancanza di fondi. Le Nazioni Unite affermano che costerà 849 milioni di dollari in quattro o cinque anni, una somma enorme che renderebbe il programma di smobilitazione il più grande al mondo.
Il governo dell’Etiopia prevede di pagare il 15% del totale, mentre i donatori dovrebbero provvedere al resto. Un piano completo per rimandare a casa i combattenti è stato elaborato con l’aiuto del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, ma le recenti promesse di piccola entità di Canada, Giappone e Unione Europea sono molto al di sotto di quanto necessario.
Lo stesso vale per l’industria del Tigrè e per i suoi sistemi sanitari ed educativi. Fabbriche, scuole e moltissime infrastrutture risultano ancora inagibili, per un valore totale di infrastrutture distrutte dalla guerra stimato a 22,7 miliardi di dollari.
La strategia di Abiy è però quella di investire miliardi per abbellire la capitale, Addis Abeba, nel tentativo di far ripartire l’economia attraendo investitori stranieri.
Con l’Etiopia che sta vivendo la sua peggiore crisi economica da decenni (ha ottenuto a luglio un salvataggio di 3,4 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale), i cittadini si stanno chiedendo se sia questo il miglior utilizzo dei fondi pubblici.
Un’altra questione spinosa è la giustizia di transizione. Durante tutto il conflitto, il governo di Abiy ha negato categoricamente le accuse secondo cui le sue truppe e i suoi alleati stessero commettendo violazione di diritti umani. Ha imposto un severo blackout delle comunicazioni al Tigrè per impedire che le notizie si diffondessero nel mondo, tagliando fuori la rete telefonica mobile e Internet.
Fin dall’inizio ha anche cercato di controllare il processo di giustizia di transizione e ha negato agli investigatori internazionali il permesso di visitare il Tigrè.
Nell’ottobre del 2023, l’Etiopia ha esercitato con successo pressioni per porre fine all’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani commesse durante il conflitto.
Sta avviando il proprio processo di giustizia transazionale. Sulla base della precedente esperienza del governo nel negare i crimini di guerra, gli osservatori internazionali hanno sollevato dubbi sul reale impegno nel cercare una vera responsabilità.
In particolare, si teme che neanche le truppe eritree non verranno giudicate per i propri crimini nel Tigrè, visto che i tribunali nazionali etiopi non hanno giurisdizione su di loro.
La mancanza di un profitto tangibile nel processo di pace sta alimentando la disillusione tra i giovani tigrini, in particolare quelli che combattono in guerra. Nel frattempo, il Tigrè è alle prese con una crisi politica con fazioni rivali del TPLF non più unite da un nemico comune e che si contendono il potere.
Alla sua conferenza annuale del mese scorso, il Partito ha votato per sospendere l’iscrizione del Presidente regionale ad interim del Tigrè, Getachew Reda, perché i suoi membri erano particolarmente scontenti nella mancanza di organizzazione di nuove elezioni regionali, una delle condizioni fondamentali dell’accordo di Pretoria.
Per il Tigrè tutto questo non fa che confermare un quadro inquietante. Lo spargimento di sangue è finito, ma la regione è in totale rovina. Con i suoi leader in lite continua, gli osservatori temono che presto l’ascia di guerra verrà dissotterrata.