Anche se ti chiami Papa, alla politica non si sfugge. Puoi vestirti di bianco, pregare per tutti, parlare di pace, ma se sbagli tono, target, sei fuori. Fuori nel senso che ti possono cancellare. Non smentire, non criticare. Proprio cancellare. Succede che la politica richiede la parola giusta al momento giusto. Non ce l’hai? Sei fuori. Così mentre c’è chi inneggia al “Papa dei giusti”, c’è chi sceglie di eliminarlo. E lo fa nella morte.
L’ambasciata israeliana ha pubblicato le sue condoglianze su X e poi le ha eliminate. Senza spiegazioni. Tutto cancellato in 280 caratteri. La morte può essere un’occasione di squisiti atti politici. Il silenzio è uno di questi. Non è un caso se, secondo il Jerusalem Post, il Papa è finito sulla lista nera di Israele. Probabilmente la sua posizione non era abbastanza netta. Probabilmente che abbia parlato di genocidio a Gaza non è piaciuto. Perché ad essere l’autorità morale non ci si sveglia tutti i giorni e che si abbia qualcosa da dire, lo si dica nel modo giusto. Bisogna essere utili o tacere.
Non conta essere il rappresentante di milioni di fedeli, invocare la pace senza colori o schierarsi dalla parte di tutti. Tutti è generico e non esiste più un “al di sopra di” nelle dispute mondiali. Non oggi. Abituati a professare la propria, chi ne avrebbe diritto in quanto capo di Stato – oltre che capo religioso – è tagliato fuori, cancellato, persino nel momento dei funerali.
Nemmeno la morte, quindi, può essere pianta senza schierarsi. E’ un oltraggio, ma non plateale. Uno schiaffo di Anagni in chiave moderna, senza cavalli, senza castelli. Sfidare il Vicario di Cristo, era un atto deliberato, quasi una ribellione al Padre nel senso più freudiano del termine. Oggi si può semplicemente cancellare un tweet senza subire un processo. Al massimo un processo alle intenzioni. Francesco non è Bonifacio VIII. Bonifacio è stato umiliato, ma faceva comunque paura, Bergoglio no. E in questo momento di lutto c’è anche chi si arroga il diritto di poter dire la sua, di misurare la sua pietà.
Il punto è paradossale: un papa globalista, in un universo di nazionalismi, accusato di non aver preso parte – se non per tutti. Oggi ogni parola è politica e anche la pietà deve essere pesata, direzionata. La pace non è più una posizione desiderabile. Essere neutrale è forse ancora peggio di essere contro.
In un mondo in cui Francesco viene criticato per essere stato troppo ecumenico, troppo Francesco, le sole parole di cordoglio diventano una dichiarazione di intenti. Tel-Aviv in questo caso non ha scelto il silenzio. Ha scelto di fare e poi disfare, con la consapevolezza che quel gesto – cancellare – non è definitivo, ma sotto gli occhi di tutti. Il potere – ci insegna Israele – si gioca nel controllo del lutto, nella regia dell’assenza e, che sia possibile, nel cancellazione di un Papa.