Un anno fa, il Venezuela ha indetto un referendum per riaffermare le sue rivendicazioni territoriali sulla regione di Essequibo, in Guyana. Quel voto ha finito per essere un’anteprima delle molto discutibili elezioni Presidenziali che si sono tenute nel Paese nel Luglio del 2024. L’affluenza è stata così bassa che le autorità elettorali hanno mentito sui risultati e non hanno mai diffuso il conteggio completo dei voti. Mentre le autorità hanno affermato che sono stati espressi 10 milioni di voti, analisti indipendenti ritengono che il numero sia inferiore a 2 milioni, dati i seggi elettorali vuoti.
Subito dopo il referendum del dicembre del 2023, il Presidente Nicolas Maduro ha iniziato quello che molti hanno descritto all’epoca, come l’inizio del percorso verso la guerra con la Guyana. Le autorità venezuelane hanno cambiato la mappa ufficiale del Paese per includere Essequibo, e hanno minacciato di perseguire tutti i venezuelani che avessero utilizzato la vecchia mappa.
Il governo venezuelano
Il governo venezuelano ha assunto un tono ostile nei confronti del suo vicino, arrivando ad
insinuare più volte di poter prendere Essequibo anche con la forza. Per rafforzare la minaccia, l’esercito venezuelano si è esibito in esercitazioni che simulavano l’invasione lungo il confine, ha costruito infrastrutture trasfrontaliere e strutture doganali, ha condotto pattugliamenti navali nel fiume che rappresenta il confine e ha spostato le navi lanciamissili di fabbricazione iraniana più vicino alla costa atlantica della Guyana.
In risposta, il Brasile ha schierato personale e attrezzature militari al confine con il Venezuela, dove corre l’unica strada che porta alla regione di Essequibo. Gli Stati Uniti hanno iniziato ad inviare regolarmente in Guyana funzionari diplomatici e militari, e a un certo punto hanno persino spostato una portaerei nelle vicinanze facendo poi volare aerei da guerra sul Paese, il tutto per rafforzare la partnership tra Washington e Georgetown e chiarire al regime di Maduro che un’invasione non sarebbe stata tollerata.
La Comunità dei Caraibi, o Caricom, e altre organizzazioni regionali hanno rilasciato dichiarazioni a sostegno dell’integrità territoriale della Guyana, respingendo ogni tentativo di aggressione venezuelana.
Il Venezuela già lo scorso dicembre, quando è stato indetto il referendum e in piena campagna elettorale, appariva impreparato all’invasione della Guyana. In primo luogo, se lo avesse fatto, sarebbe stato un passo falso che avrebbe probabilmente portato alla caduta del regime di Maduro. Inoltre, molto analisti sostengono che il Venezuela non aveva allora, come oggi, le potenzialità diplomatiche e militari per
invadere con successo la Guyana e mantenere in suo possesso quel territorio.
Maduro
Il regime di Maduro non può permettersi di giocare con la pressione internazionale che deriverebbe da un’invasione illegittima: gli alleati della Guyana non includono solo il Brasile e gli Stati Uniti, ma anche Cina e Cuba, due Paesi che si schierano spesso co Caracas su altre questioni. L’esercito venezuelano è così mal equipaggiato e degradato che non ha né le armi, né il personale per proteggere gran parte delle zone rurali del Paese – lasciando spesso quel lavoro a gruppi armati illegali come l’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale) della Colombia e le bande carcerarie di Pranes – tanto meno per proteggere un territorio esterno ai confini del Paese.
Lo stesso tipo di frode visto nel referendum del dicembre 2023 su Essequibo si sarebbe ripetuta nelle elezioni Presidenziali del luglio 2024. Maduro avrebbe perso contro il candidato dell’opposizione Edmundo Gonzales per circa 40 punti percentuali, ma le autorità elettorali hanno comunque dichiarato Maduro vincitore. Mentre ancora una volta il governo non non ha reso pubblici i conteggi dei voti,
l’opposizione ha raccolto abbastanza dati per verificare in modo indipendente laschiacciante vittoria di Gonzalez. All’indomani delle fraudolente elezioni Presidenziali, Maduro e l’esercito venezuelano hanno rivolto la loro attenzione verso l’interno, per concentrarsi sulla repressione delle proteste da parte degli oppositori politici. A parte alcuni stringati commenti diplomatici, negli ultimi quattro mesi non si è sentito
quasi parlare delle velleità territoriali di Caracas nei confronti dell’Essequibo, men che meno un’invasione.
Per ora, quindi, la guerra che è stata pubblicizzata senza sosta da molti media non è mai stata una possibilità tangibile. Tutto questo rumore era necessario? C’è da dire che il Venezuela ha voluto probabilmente montare un caso attorno ad una questione che serviva unicamente ad unire la Nazione
attorno alla bandiera in un anno importante dal punto di vista elettorale. Per gli analisti si
tratta di pura retorica. C’è anche chi sostiene che le forti dichiarazioni dei Paesi di tutta la regione e la linea rossa stabilita dall’Amministrazione Biden abbiano fatto la differenza nel dissuadere Maduro dal
lanciare un’operazione così onerosa, sia dal punto di vista economico che di forze armate.
Il futuro
Ma questa domanda non è banale, perché molte cose cambieranno in questo 2025 e potrebbero riportare una campana militare venezuelana nella sua agenda regionale. In primo luogo, Maduro è ancor più sotto pressione dopo la “sconfitta” elettorale. La maggior parte dei dittatori mantiene il potere politico creando l’illusione della legittimità democratica, anche se ciò significa truccare le elezioni per garantirsi la vittoria. Dimostrare grandi vittorie, anche quando tutti sanno che le regole non sono state seguite e i risultati falsificati, fa parte del modo in cui i dittatori come il Presidente russo Vladimir Putin, il Presidente bielorusso Alexander Lukashenko e il Presidente nicaraguense Daniel Ortega mantengono il controllo dei loro Paesi e delle loro forze di sicurezza.
In Venezuela, tutti, compresi i principali alleati civili e militari, hanno visto Maduro perdere le elezioni e poi rubarle in modo poco elegante in un disperato tentativo di mantenere il potere. Il fatto che sia riuscito a rubare il voto dimostra che ha ancora il controllo. Ma il fatto che abbia perso con un margine così ampio, anche in quartieri che in precedenza erano roccaforti del governo, pone il regime su un terreno molto più traballante oggi di quanto non lo fosse un anno fa. Maduro potrebbe vedere il fatto di prendersela con un nemico straniero come un modo per riguadagnare legittimità e distrarre il Paese dai problemi interni.
La Guyana
In secondo luogo, per la Guyana il 2025 è anno di elezioni. Con una forte crescita economica trainata dai guadagni provenienti dalle riserve petrolifere di nuova concezione, il Presidente Irfaan Ali è il favorito in questa corsa. Tuttavia, in un momento di generale antipolitica, in cui abbiamo visto tanti leader democratici perdere, dare per scontata la rielezione di Ali sarebbe un errore.
Inoltre, le principali critiche al Presidente della Guyana ruotano attorno ai contratti di licenza che il Paese ha firmato con le compagnie petrolifere e al fatto che la Guyana stia veramente ottenendo da questi il miglior accordo possibile per il Paese. Maduro potrebbe trovare beneficio dagli scioperi se le elezioni dovessero provocare divisioni politiche in Guyana. In alternativa, Ali potrebbe cercare di aumentare il livello di tensione al confine per ricordare agli elettori quanto sia importante per la Guyana rimanere unita in un anno elettorale.
A queste condizioni, la retorica belligerante e l’atteggiamento aggressivo potrebbero aumentare vertiginosamente e far sì che la situazione sfugga di mano ad entrambi. In terzo luogo, ci si chiede se l’Amministrazione del Presidente eletto Donald Trump manterrà gli stessi impegni del predecessore Biden nei confronti dell’integrità territoriale della Guyana. Gli osservatori non si aspettano cambiamenti, soprattutto con un falco anti-venezuelano come Marc Rubio, appena nominato da Trump Segretario di Stato, pronto a gestire in modo aggressivo tutta la politica della nuova Amministrazione in America Latina.
Tuttavia, altri consiglieri hanno sostenuto prioritario concentrare l’attenzione – e forse le operazioni militari – sul Messico, e il Wall Street Journal (More OIL for Fewer Migrants: Trump Is Urged to Make Deal With Venezuela; Kejal Vyas, Nov. 28, 2024) ha riferito che diversi consiglieri di Trump stiano chiedendo negoziati con Caracas. Maduro potrebbe mettere alla prova l’impegno di Trump nei confronti della Guyana se percepisse un allentamento da parte degli Stati Uniti in quell’emisfero, o se pensasse che
Trump potesse essere disposto a firmare accordi sul petrolio e sui migranti in cambio di un atteggiamento più morbido nei confronti della dittatura di Caracas.
Scenari
La guerra rimane un’ipotesi lontana, e qualsiasi tipo di guerra sarebbe disastrosa per Maduro. Ma, con una regione in continuo mutamento, i possibili errori potrebbero facilmente riaccendere il conflitto e rimettere la questione all’ordine del giorno nel 2025, nonostante mesi passati in quiescenza. In America Latina si verificano raramente guerre tra Stati, ma questo non dovrebbe essere dato per scontato, e la regione dovrebbe per questo continuare a spingere per la de- escalation, inviando messaggi forti a Caracas, sottolineando quanto sarebbero gravi le conseguenze di un’offensiva militare.