La bocca del lupo di Pietro Marcello e l’importanza dell’oralità
La bocca del lupo è un film documentario del 2010 diretto da Pietro Marcello, vincitore di numerosi premi tra cui Miglior Documentario ai Nastri d’Argento e al David di Donatello.
Il film è costruito secondo uno schema libero, ai frammenti video e audio si alternano le testimonianze di una Genova passata, i momenti di vita quotidiana del protagonista, ma soprattutto le registrazioni prese da audiocassetta e i racconti orali. Il passato plasma il presente, inaridendolo con il dolore di un destino crudele.
Attraverso le parole dei protagonisti, l’autore costruisce una narrazione coerente ma variegata, imperniata sull’importanza dell’oralità.
Vincenzo Motta detto Enzo, condannato a lunghi anni di reclusione nel carcere di Genova, si innamora di una donna transessuale, Mary Monaco, con un trascorso di dipendenza.

Sarà proprio Mary a infondergli la forza di intraprendere una nuova vita, aspettandolo per oltre dieci anni, fino al termine della pena detentiva, momento in cui si ricongiungeranno.
Tratti veristi
Il titolo prende ispirazione dall’omonimo romanzo verista di Remigio Zena, un testo che mette a fuoco in maniera corale la vita, talvolta al limite della sopravvivenza, delle persone che vivono fra i caruggi. In un susseguirsi di storie che hanno come protagonisti i vinti e i reietti, repressi da un destino avverso e frustrati da aspirazioni che non potranno essere soddisfatte, se non correndo il rischio di finire nella bocca del lupo.
La bocca del lupo per Marcello è la vita che, con le sue trappole e le sue storture, fagocita Enzo e Mary, restituendoli al mondo marchiati per sempre. Segnati dalla sofferenza di una realtà feroce.
Enzo torna a casa, dopo una lunga assenza, nella sudicia città portuale di Genova. La percorre cercando i luoghi di un tempo, ormai in disuso, che affiorano alla memoria nel loro antico vigore.
Nella casetta della città vecchia, ad attenderlo ci sono una cena modesta e la compagna di una vita.
Mary in strada ed Enzo in carcere si sono voluti, amati e aspettati fin dal loro primo incontro dietro le sbarre, quando ancora si inviavano messaggi soavi, registrati di nascosto sulle audiocassette.
Il verismo del documentario risiede sia nella scelta di fotografare la vita di persone umili, soffermandosi sulle condizioni anche più brutali, sia nella volontà di presentare al pubblico un prodotto quanto più vicino possibile al pensiero di chi parla. Lo fa attraverso le immagini, selezionate minuziosamente e associate ai racconti di Enzo o di Mary, e poi attraverso la lingua parlata.
Tradizione orale
La testimonianza orale, come valore aggiunto e fondante della natura umana, si fa strada lungo tutta la narrazione audiovisiva.
Pietro Marcello ribadisce tanto l’importanza dell’oralità nel processo della memoria, quanto dei supporti in cui questa si iscrive e si propaga: gli spazi, la città, il mare.
Una comunicazione che si rivolge ai sensi e se, inizialmente, fatichiamo a farci coinvolgere dalla trama, minuto dopo minuto le voci entrano dentro di noi e iniziamo a scorrere nei ricordi, tra i desideri e i rimorsi di Enzo. O nell’immaginario dell’autore che si figura la storia narrata.
Il film annulla la divisione convenzionale tra cinema e documentario, grazie a un montaggio creativo che accosta momenti documentari, interviste, lettere e materiali d’archivio (anche amatoriali) su Genova.
Pietro Marcello fa centro sulla nostra sensibilità, spingendoci a empatizzare con la figura grezza e genuina di Enzo, un uomo tormentato ma bisognoso d’amore. Raccogliendo una testimonianza elaborata nella forma ma realistica nel contenuto, come accade in Futura, il recente documenario, in cui insieme ad Alice Rohrwacher e Francesco Manuzi, pone il focus sulla disillusione dei giovani post pandemia.
“Noi due dobbiamo diventare una cosa sola, dobbiamo consolarci vecchi e contenti, dicendo grazie a dio per questa realtà, vicino a te, senza parlare” canticchia Enzo a Mary.
È emblematico che Enzo dica di non avere bisogno di parlare con l’amata per capirsi, in un documentario in cui il parlato è il fulcro della narrazione. Ma il lavoro del regista è stato nodale, grazie alla sua operazione di approfondimento e assemblaggio delle fonti è riuscito a portare sullo schermo una storia che altrimenti sarebbe rimasta muta, sospesa nell’aria salmastra che si annida tra i carruggi.
La bocca del lupo di Pietro Marcello e l’importanza dell’oralità