Le otto montagne è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Paolo Cognetti e si è rivelato il film più visto nelle festività natalizie italiane.
Con una regia belga a quattro mani, Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, la pellicola ha vinto il premio della giuria al 75º Festival di Cannes.
Un trionfo paesaggistico tra le montagne della Valle D’Aosta e quelle del Nepal che si fa narrazione intensa di un legame indissolubile.
Pietro e Bruno sono amici d’infanzia, hanno trascorso molte estati insieme tra le Alpi e i torrenti, e ora che sono uomini cercano di annientare le tracce dei loro padri.
Anche quando affrontano le avversità della vita, i due finiscono sempre per ritrovarsi sulle montagne e confidarsi.
Un trio attoriale magistrale che vede i protagonisti Luca Marinelli e Alessandro Borghi in squisite performance e sincere complicità, ma anche Filippo Timi, nel ruolo del padre di Pietro, lascia il segno.

Un legame solido
In questo rapporto di fratellanza non esistono schemi o formalità, ma solo il puro viversi e comprendersi reciprocamente in maniera spontanea.
Pietro è un ragazzo di città, Bruno, invece, è l’ultimo figlio di un paesino montanaro e sperduto. All’apparenza sono molto diversi, sia per interessi, sia per stile di vita, ma nel profondo sono simili e per questo motivo riescono sempre a trovarsi.
Nel racconto Bruno rimane fedele alla sua montagna, non può farne a meno, mentre Pietro è continuamente di passaggio.
Il primo è radicato ai valori che gli sono stati trasmessi, si sente parte della natura che lo ha visto crescere e, anche se nei modi è burbero, ha un grande cuore.
Il secondo, dal canto suo, è molto indeciso sul futuro e non sa cosa come plasmare le sue volontà, sa solo che vuole allontanarsi da un padre che vede troppo distante da sé.
Con la morte di quest’ultimo, però, la vita rimescola le carte e Pietro inizia un percorso personale di riconsiderazione del proprio vissuto, riallacciando i rapporti con Bruno e costruendosi un proprio destino.
Se da una parte Pietro tenta di trovare sé stesso, viaggiando in tutto il mondo, Bruno si sente a casa solo nel suo habitat montanaro, dal quale non esce mai.
Un lungo tragitto, dal panorama mozzafiato, che condurrà i due protagonisti ad esperire l’amore e la perdita, ma soprattutto il significato della vera amicizia.
La natura governa il mondo
Il titolo fa riferimento a un concetto nepalese secondo cui il mondo è una ruota composta da otto raggi, con al centro un’altissima montagna (il monte Sumeru) e intorno otto montagne.
Pietro riferisce a Bruno questo pensiero e spiega che non c’è una morale ma solo una domanda da farsi: “Chi impara di più? Colui che fa il giro delle otto montagne o chi arriva in cima al monte Sumeru?”. Bruno, ridendo, risponde: “Io sarei quello che ha scalato il monte” chiede “e tu quello cha ha fatto il giro?”. “Pare proprio di sì”, afferma Pietro.
La montagna è la protagonista di questa storia, è l’elemento naturale che unisce i due uomini e che insegna loro l’importanza dell’affetto.
Entrambi, a modo loro, decidono come dimostrarlo ed è proprio quel moto di empatia dell’uno verso l’altro che ci fa capire il bene che si vogliono.
Sono tanti i lunghi silenzi che lasciano comunicare solo gli occhi, perché Bruno e Pietro si capiscono anche senza parlare.
Alla fine Pietro riesce a trovare sé stesso, consapevole che non riuscirà più a tornare nel luogo in cui l’amico è morto perché “non si può tornare alla montagna che sta al centro di tutte le altre, e all’inizio della propria storia”.
Le otto montagne: una storia che parla di natura e amicizia